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Gad Lerner: straniero nei palazzi del potere

6.7.1995, da "l'Adige", 6.7.1995
Alexander Langer, che ha voluto interrompere sotto un albero di albicocche la frenesia di una vita ocnsumata senza mai una sosta da trent'anni, era un raro e prezioso prodotto del Sessantotto europeo.

Tenace come un tedesco e appassionato come un italiano, fuori luogo come l'ebreo che era suo padre e profondamente radicato nel verde del Sudtirolo dove sua madre gestiva la farmacia di famiglia a pochi chilometri del Brennero. Pronto a sentirsi a tutti gli effetti cittadino di Sarajevo solo per compensare l'imbarazzo suo di frequentare - da perfetto estraneo - i palazzi del potere.

Pareva quasi che neppure il suo aspetto fisico si modificasse sotto l'incalzare del tempo, la frangia bionda, i denti all'infuori, quell'aria eternamente trafelata e provvisoria, i sandali francescani d'estate e il maglione norvegese d'inverno, lungo un itinerario di militanza che attraversa ininterrottamente la nostra dimensione continentale: dalla cultura del dissenso cattolico fiorentino messa a confronto col rigore etico del prostentantesimo pacifista tedesco, prima ancora che scoppiasse il movimento di rivolta giovanile; fino alla militanza in Lotta Continua intrecciata con le battaglie radicali per i diritti civili; e infine il ritorno a quell'apparente periferia che è la sua terra, in realtà laboratorio di una convivenza interetnica la cui precarietà si è rivelata essere il cancro dell'Europa contemporanea. Per arrivare al Parlamento di Strasburgo non solo da esponente dei movimenti alternativi e della nuova sinistra libertaria, ma anche da uomo che sapeva rintracciare nelle sue radici le ragioni del proprio impegno.

Il suo stare perennemente a cavallo fra culture diverse risultava percepibile nell'accento teutonico che deturpava un eloquio italiano peraltro elegante e forbito (era l'unico interprete in grado di tradurre in simultanea "Mistero buffo" di Dario Fo durante le tournée di quest'ultimo in Germania). Il suo cosmopolitismo fa sì che lo possiamo annoverare al fianco di alcune figure cruciali del movimento giovanile alternativo, quali il francotedesco Daniel Cohn Bendit o il polacco Adam Mechnik, sopravvissute integre - raggiunta la mezza età - al facile meccanismo della cooptazione negli ingranaggi istituzionali o viceversa dell'emarginazione culturale.

La sua è stata per davvero una estenuante ma fertilissima "lunga marcia dentro le istituzioni" sempre con l'ossessione di mantenersi estraneo ai privilegi che queste ultime potevano riservargli. Non concepiva di poter mettere da parte una lira, quasi cercava la scomodità nei viaggi e negli alloggi, con disarmante candore, si scandalizzava dell'arrivismo diffuso fra i suoi compagni. Ma pure era di un'efficienza proverbiale nell'impugnare qualsiasi leva burocratica o legislativa venisse utile per la battaglia del momento. Esemplare quella contro le "gabbie etniche" in Alto Adige - Südtirol (pretendeva il rispetto del bilinguismo con pignoleria assoluta) dove per anni trascinò dietro di sé un manipolo di dissidenti a rifiutare la "schedatura" di un censimento ambiguo.

L'incontro con la cultura verde e pacifista, lungo questo percorso, era ovvio e inevitabile con largo anticipo sui tempi della politica italiana. Rispetto alla quale Langer ha voluto però mantenersi defilato, preservando il suo indiscusso carisma di leader dalle beghe legate alla conquista di un collegio elettorale.

La sua ossessiva coazione a farsi carico dei problemi degli altri, collezionando le grane di cui i più cercavano di liberarsi e sommandole alle grandi questioni della guerra e della pace nei Balcani che riempivano la sua attività di deputato europeo itinerante, alla fine lo ha sovrastato. Ma non è stato il suo fisico da montanaro a cedere. No, è stato ancora una volta lui stesso a scegliere di interromperla, quella corsa sfrenata e sconsolata attraverso un secolo buio che non poteva più decentemente chiamare vita.
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