Alexander Langer Alexander Langer Racconti e ricordi

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Franca Fossati: continuando a chiederci cos'è giusto

1.9.1995, da "Noi donne", sett. 1995
Con l'informazione sulla proposta di un "corpo di pace europeo, civile, con compiti di monitoraggio, mediazione, prevenzione dei conflitti", Alex Langer concludeva l'ultima puntata del suo diario europeo su quel bel giornale stampato a Forlì che si chiama Una città.

La scrittura di Alex: precisa, analitica, mai letteraria, anche perché l'italiano era solo una delle sue molte lingue. Un servizio, come la politica. Quella lenta e paziente della costruzione di relazioni, tra donne, uomini, istituzioni. Ma anche le istituzioni non erano mai per lui astrazioni, funzioni, ruoli. Erano uomini e donne, concreti. Della politica aveva un'idea nobile, santa: che spaesamento di fronte a Tangentopoli e al carnevale che ne è seguito. Che solitudine.

Alex si è tolto la vita quando Chirac annunciava la ripresa degli esperimenti nucleari e la caduta di Srebrenica sanciva il fallimento della mediazione, della diplomazia, del soccorso. Ammesso che qualcuno, a parte lui e pochi altri, poche altre, l'avesse fatta veramente quella politica.

Ma è troppo facile, autoconsolatorio, parlare del suo suicidio come di un simbolo di questo contesto epocale, L'uomo, lui, Alex, rischia di scappare via, ancora una volta annegato negli ideali. Con i suoi denti di castoro, gli occhiali, la frenesia del fare, il suo darsi tutto agli altri senza concedersi mai veramente a qualcuno. Senza concedere nulla a se stesso, incapace di accettare lo scarto tra la sua ambizione e la sua, la nostra, miseria. Incapace di perdonarsi. Anche per questo penso a Valeria, sua moglie, con un senso di solidarietà forte.

Io Alex lo conosco da venticinque anni. Negli anni Settanta abbiamo condiviso case e riunioni. Sapeva ascoltare, anche le pene del cuore altrui. Non rientrava nel cliché fascinoso e virile del dirigente politico. Poi ci siamo frequentati sempre di meno. Lo chiamavo se mi serviva qualcosa, un documento, un'opinione per un articolo. Mi tranquillizzava saperlo ora al Parlamento europeo, mi sentivo rappresentata da lui. Gli avevo delegato la pace nel mondo, senza chiedermi quanto gli pesasse quella delega, senza chiedergli se fosse in pace con se stesso.

Se uno muore giovane, per incidente, per malattia, perché qualcuno lo uccide, puoi almeno imprecare. Se non altro contro il destino. Ma se uno sceglie di impiccarsi? Come si fa a confrontarsi con questa scelta? Ti rifugi nelle spiegazioni psicoanalitiche, o in quelle politiche. Per non interrogarti sulla sua e sulla tua libertà. Vorrei trovare parole di speranza. E di memoria pacificata. Non me ne vengono. Neppure ora, dopo tanti giorni che è morto. Almeno vorrei poter dire, accogliendo l'invito del suo ultimo biglietto, che cercherò di fare quello che è giusto. Ma spesso non so quello che è giusto. Su una cosa mi posso impegnare: a tenere Alex in me, tra noi, per quello che era. Senza farne mito o simbolo. Spesso lamentiamo che non ci siano uomini capaci di cambiare e andiamo a cercare i nostri campioni tra quelli che usano le parole del femminismo. Non credo che Alex abbia letto molti testi femministi, né che sia stato sempre migliore di altri uomini. Ma era uno che riconosceva l'insegnamento della Madre.
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