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Paolo Campo , Il ritorno di Alex

3.5.2007, Europa
 
È davvero un peccato che nel ce-l’ho-mi-manca del pantheon democratico che ha imperversato nei giorni scorsi, non sia mai spuntato nome che, invece, tra i compagni di strada del costituendo Pd ci azzeccherebbe, eccome. Sto parlando di Alexander Langer, una delle figure più atipiche ad attraversare la politica italiana ed europea, la cui biografia scritta da Fabio Levi (In viaggio con Alex 1946-1995) esce in questi giorni. Non che Lariger non abbia, anzi, una sua forza iconica -gli occhiali, quel suo loden e la borsa da viaggiatore leggero sulla copertina del libro - eppure, quando si va a stringere Politica pare dimenticarsi puntualmente di Alex, chissà una rimozione o un’amnesia, un missing in action nel suo strenuo sforzo la pace e la convivenza. E questo nonostante l’impegno meritorio di istituzioni come la fondazione che porta il suo nome (www.alexanderlanger.org) o la fedeltà di chi lo ha conosciuto, magari negli anni di Lotta Continua o tra i Verdi in Europa o ancora in una delle migliaia di iniziative che Langer ha inventato e promosso in ogni dove. Forse è lo spaesamento che abita la sua stessa biografia, una unheimlichkeit che non gli ha mai consentito il privilegio della sosta, 1a cifra di un percorso esistenziale e politico che stenta a lasciarsi costringere in una sola appartenenza in una identità che non sia anche attraversamento e passage. Come scrive Alex stesso nell’ottavo capitolo dei suoi Dieci punti per la convivenza, significativamente intitolato Dell’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera. Occorrono “traditori della compattezza etnica”, ma non ‘trasfughi’: “È di fondamentale rilevanza che qualcuno si dedichi a un’orazione ed al superamento dei confini:attività che magari in situazioni di tensione e conflitto assomiglierà al contrabbando ma è decisiva per ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire interazione”. Alle prese con 1’irrequieta cartografia della vita di Langer, Levi — che insegna storia contemporanea all’università di Torino — sceglie efficacemente di sgranare il rosario delle città e dei luoghi del viaggio di Alex attraverso alcuni dei temi che ancora affollano la nostra attua1ità politica: dal federalismo alla questione del debito dei paesi in via di svilippo, dalla “conversione ecologica alla bioetica, dalla pace in Medio Oriente alla tutela delle minoranze, dalla costruzione e la crisi europea al nucleare. Una di quelle personalità avanti di almeno un decennio (sulla scena internazionale aveva una simile capacità di sguardo l’ex ministro degli esteri svedese Anna Lindh), come testimonia la sua bildung, tra la Firenze di don Milani e i carri armati a Praga, ma anche le ultime sfide prima del commiato a Pian dei Giullari (“Non siate tristi, continuate n ciò che era giusto”): la lotta contro la brevettabilità della vita, il sangue dei Balcani, l’accoglienza dei rifugiati. Se si dovesse pensare all’eredità più duratura del suo impegno politico, si dovrebbe fare ravviare in un senso profondo, e tutt’a1tro che disperata, della umana finitezza, come quando, ad Adriano Sofri che lo intervista, confessa: “Io sento, e ciascuno di noi probabilmente sente, che non ce la farei a vivere in una di quelle utopie che a volte noi stessi propaghiamo; i nostri stessi scacchi sono forse uno scampato pericolo”. Sospeso nell’intervallo tra i confini (linguistici, etnici, culturali, politico-partitici), A1ex se la rideva della sua riduzione ad icona, alla sua guevarizzazione di “profeta verde, e preferiva tormentare le sue inquietudini, affliggendo i consolati secondo la bella immagine di un sacerdote a lui assai caro come don Tonino Bello. Non so se questo In viaggio con Alex avrà la forza di suscitare un interesse più diffuso attorno a Langer, in particolare dei giovani che ancora non ne conoscono il profilo e che ne troveranno disegnato il carattere di guida fragile che spetta ai fratelli maggiori. Che trovi spazio o meno nei nostri partheon portatili e su misura — Alex, così poco contemporaneo, così sempre futuro - è, tuttavia, un controveleno alla mediocrità e un monito gentile a quel “fare politica” che è il significato stesso dell’impegno politico
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