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Paola Cannata - Diario di un viaggio in Bosnia

4.11.2009, Fondazione Alexander Langer Stiftung

 

DIARIO DI UN VIAGGIO IN BOSNIA

24 luglio / 2 agosto 2009

 

Non so nulla della guerra dei Balcani. Ho qualche ricordo, sfumato nel tempo, che mi ero fatta leggendo le cronache di quegli anni. Non so nulla di Srebrenica, se non che è la città dove si è consumata una pulizia etnica che in due giorni ha eliminato più di 8.000 bosniaci musulmani. Non conosco Tuzla. Non so nulla di Monstar. Ho nella mente solo l’immagine del Ponte, simbolo della città, che veniva rimandata di continuo da tutte le agenzie di stampa. Non so nulla di Sarajevo. Ricordo che si è parlato molto dei bombardamenti e dell’assedio. Quando ho saputo del viaggio di conoscenza promosso dall’Associazione Alex Langer all’interno del progetto “Adopt Srebrenica” , non ho avuto dubbi. Mi sono iscritta subito.

Sabato 25 luglio. Si parte !

Ci troviamo alla stazione di Verona, provenienti da diverse città italiane. Neanche dieci minuti di attesa e arriva il nostro pullman, proveniente da Bolzano, sede dell’Associazione Alex Langer, da dove il viaggio ha avuto inizio. Alla guida Andreas. Ce lo presenta Stefano perché lui, tedesco, mastica poco l’italiano. Durante le molte ore trascorse insieme avremo modo di constatare che guida benissimo.

Dopo una breve tappa a Dolo, il gruppo è al completo. Ci aspetta una settimana di incontri, approfondimenti, di condivisione del dolore ma anche di speranza nel vedere la grande voglia di rinascita di una comunità smembrata dalla guerra. Abbiamo visitato molti luoghi, incontrato rappresentanti delle istituzioni, associazioni e cittadini che si sono attivati e che operano sul territorio per cercare di ricostruire un’ unità perduta, per aiutare giovani e vecchi a superare la disperazione e il desiderio di vendetta.

Mauro Cereghini – coordinatore del progetto “Adopt Srebrenica” - durante il viaggio ci trasmette tante informazioni, sapientemente dosate in “pillole” nel timore, dice lui, di non essere pesante ma noi siamo sempre tutt’orecchi e non ci stanchiamo di ascoltarlo. La complessità è grande. Al rientro dal viaggio cerco di documentarmi (cosa che avrei dovuto fare prima !!!) . Prima della guerra del 1992-95, ogni abitante della Bosnia Erzegovina, veniva chiamato bosniaco, fosse serbo, croato o musulmano. Queste tre popolazioni, tutte di origine slava e parlanti la stessa lingua (il serbo-croato) erano i popoli costitutivi della Jugoslavia, insieme agli sloveni, ai montenegrini, ai macedoni. Una commistione di religioni: cristiana, cristiano-ortodossa, musulmana. Tanti popoli che da anni convivevano pacificamente insieme. NON è vero, ci dice Mauro, che stessero tranquilli solo perché sotto il tallone di Tito.

Viaggiamo tutto il giorno e in serata arriviamo a Prijedor, una bella cittadina a nord di Sarajevo, della quale confesso non sapevo neppure dell’esistenza. Ceniamo a casa di una famiglia che fa parte della Rete di Turismo Responsabile Promotour. La padrona di casa ha cucinato per tutti noi. Buono e abbondante. Non resta nulla in tavola. Qualcuno del gruppo resta a dormire da lei. Altri vengono sistemati presso le altre famiglie della rete. Il “gruppo ragazzi” pernotta a qualche chilometro di distanza, nel villaggio di Ljiubja, che prima della guerra era in un’area molto attiva ma che ora è considerata zona depressa.

 

Domenica, 26 luglio. Prijedor

All’ Agenzia della Democrazia Locale - promossa dal Consiglio Europeo nell’area della ex Jugoslavia per incentivare la democrazia a partire dai cittadini – incontriamo Simone Malvolti e Dragan Dosen. Nel 2005 è stato avviato un progetto “trasparenza” con il Comune, un altro progetto sulla trasparenza e sulla programmazione del budget con i cittadini. Le attività sono sostenute anche dalla comunità Trentina (18 Comuni) attraverso affidi a distanza e gemellaggi tra le scuole. Lavorano molto con i giovani, con grande attenzione alla promozione di percorsi culturali, con raccolta materiali e video interviste che però si fermano agli anni ‘70 . Dopo, ci spiegano, è difficile raccontare, sia per il coinvolgimento emotivo che è ancora molto forte, sia perché le istituzioni sono molto passive, lasciano fare finchè non si parla di memoria…...

Cerco di mettere a fuoco quello che ho ascoltato. A Prijedor, prima della guerra, la popolazione era formata per il 45% da Serbi per il 45% da musulmani, più le minoranze. Dopo la pulizia etnica restano poche centinaia di musulmani. Nel 2000/2002 i musulmani cominciano a rientrare – 20mila circa – e l’Agenzia promuove un forum civico per una riflessione su quanto è avvenuto, per riavviare un dialogo. Viene curato lo sviluppo di piccole medie imprese con il microcredito per lo sviluppo del territorio.

Al termine dell’ incontro, due passi in centro, completamente ricostruito da un paio d’anni, dove resistono alcune testimonianze pre-guerra: una casetta stile austro-ungarico, un palazzone stile sovietico.

Visitiamo la mostra storica sulla miniera. La mostra è stata allestita al quinto e ultimo piano del palazzo che ospita il museo. Il sole batte senza pietà sulle vetrate producendo un effetto sauna. A me manca l’aria. Cerco di ascoltare ma non ce la faccio. Scendo e aspetto il gruppo seduta su una panchina all’ombra di un albero.

Riprendiamo il pullman e imbocchiamo la strada verso il villaggio di Kozarac. In lontananza, di fronte a noi, la montagna dalla quale prende nome il villaggio, che era stato completamento raso al suolo ed è stato ricostruito dalla diaspora Pranzo in un bel ristorante, lo Stara Basta (vecchio granaio) nella parte vecchia. Ci portano antipasti vari e poi due vassoi enormi di carne alla brace, buonissima.

Nel pomeriggio visita al Parco Nazionale del Kozara. Davanti a noi un monumento imponente, con “feritorie” attraverso le quali si riesce a passare solo appiattendosi e facendo rientrare la pancia, tanto sono strette. All’interno, come in un cerchio, guardando in su lo spettacolo è davvero particolare. Una fuga verso l’alto. Verso il cielo. A me dà la sensazione come di un volo verso lo spazio, verso la libertà. E’ il monumento di Mrakovica ai caduti della II guerra mondiale, realizzato da Dusan Dzamonja, scultore di fama internazionale. Il monumento si trova nell’area dove prima sorgevano tanti villaggetti, tutti distrutti durante la guerra.

Una bella camminata con passo sostenuto ed eccoci arrivati alle installazioni in legno degli artisti di arte-natura Ars Kozara. Il bosco è bellissimo, le installazioni sono magiche … i girasoli, le vele al vento. Una delle installazioni mi colpisce in particolare. E’ una semplice scritta su di un albero : “tu bruci ma non brucia il tuo nome”.

 

Lunedì, 27 luglio. Tuzla

Di primo mattino partiamo per Tuzla. Durante tutto il percorso, nelle campagne casette ordinate con fiori alle finestre e sui balconi, soprattutto su quei balconi dove non sono state posati i parapetti. Gli aiuti internazionali hanno dato i fondi per la ricostruzione delle case ma non quelli per gli intonaci e per gli infissi. Quindi mattoni a vista e niente parapetti ai quali si supplisce con una fila di vasi con fiori coloratissimi. Tutto intorno la natura è bellissima. Boschi e ancora boschi, ma il turismo non può svilupparsi perché nel terreno sono ancora disseminate centinaia di mine che sono state posate senza alcuna mappatura, non si sa dove siano, e ancora oggi si registrano purtroppo incidenti quotidiani.

Ed eccoci arrivati al lago salato di Tuzla. Il pranzo ci viene servito al ristorante con vista lago. La “sindrome” vacanza prende tutti noi e cominciamo a fare foto. Dopo pranzo due passi sul “lungolago” . Si riparte per la città di Tuzla.

A Tuzla, davanti alla lapide sulla quale sono incisi i nomi di 70 ragazzi, tutti studenti, falciati da una granata sparata il 25 maggio 1995 dall’esercito serbo-bosniaco - mentre stavano festeggiando la fine dell’anno scolastico - il sindaco ci spiega che la multiculturalità è sopravvissuta alla guerra grazie alle autorità locali che sono riuscite a disinnescare il circolo vizioso delle reazioni a catena fra le varie componenti sub-nazionali, e a preservare così il concetto di convenienza pacifica, rafforzando l’immagine di città tollerante, multi-religiosa. Scommesse dal gruppo sull’età del sindaco. Il giorno dopo Mauro ci informa: ha 52 anni.

Passeggiando per il centro “incontriamo” Ismet Mujezinovic (pittore) e Mesa Selimovic (scrittore) che vengono ricordati con due belle statue in marmo ad altezza uomo. Tutti a fare foto “insieme” loro.

Visitiamo il memoriale. Le date incise sulle tante file di stele bianche indicano che la morte è giunta all’improvviso per tantissimi giovani. Non posso fare a meno di pensare a mia figlia.

A cena al ristorante Biblioteka 45, in Ulica Kristjana Krekovica. Consigliato da Mauro ma trovato grazie al fiuto di Nicola. E’ in un bel quartierino oltre la piazza centrale. In una stradina fra casette basse, si entra e ci si trova in un ambiente molto rilassante, piante ovunque, tavoli riparati da un bersò di rampicanti. Inutile dire che abbiamo cenato benissimo.

Pernottiamo in una pensione proprio di fronte al fiume, o a quello che era un fiume. E’ l’ unico asciutto!. Il “gruppo ragazzi” alloggia in un’ altra pensione poco più avanti, verso il centro. In camera da quattro, siamo un po’ strettine ma tutto è pulito e in ordine, come ovunque, del resto. Ma è qui che si verifica l’unico “incidente” di tutto il viaggio. Il porta asciugamani collassa, poi un urlo nel silenzio…... E’ Cristina che è rimasta tutta insaponata sotto la doccia con il rubinetto dell’acqua in mano. Busso alla porta della stanza che credevo di Patrizia e Nicola ma era quella di Andreas che per fortuna non sente, sprofondato in un sonno ristoratore. Ribusso ad un'altra porta e questa volta è quella giusta. Cristina può sciacquarsi.

 

Martedì 28 luglio. Tuzla

Irfanka Pasagic, una bella signora dall’ aria molto attiva e tranquilla allo stesso tempo, è la direttrice dell’ Associazione Tuzlanska Amica che si occupa dell’ adozione di circa 1.000 bambini, e di percorsi di sostegno per quei ragazzi che non hanno più alcun riferimento. L’associazione è stata fondata nel 1992 a inizio guerra. Ci dice Irfanka che a Tuzla c’è un orfanotrofio (tantissimi gli orfani di guerra in tutta la Bosnia) che i ragazzi devono lasciare al compimento dei 18 anni ma lasciati soli, molti di loro sbandano, diventano delinquenti. Tuzlanska Amica mette a disposizione un luogo di “passaggio” fra l’orfanotrofio e la strada e per tre anni aiuta i ragazzi in un percorso di inserimento. Al termine della visita, dolcetti e mele dell’orto. L’ospitalità è sempre, ovunque, eccellente.

A Tuzla incontriamo le “Donne di Srebrenica”. Masic Habiba ha perso marito e due figli. I resti del marito sono stati trovati in cinque fosse comuni diverse perché i serbi – forse nel tentativo di non permettere il riconoscimento - hanno spostato più volte quei poveri resti da una fosse comune all’altra. L’Associazione ha raccolto molte testimonianze ma “il Tribunale dice che non ci sono le prove… è molto difficile per una madre. C’è un documento ufficiale che riconosce che i criminali di guerra sono stati 20mila. Abbiamo i nomi di 800 persone ma sono tutti liberi e molti lavorano come poliziotti” .

Dentro casa, i muri della prima stanza sono tappezzati di fotografie di tutte le persone scomparse. Masic Habiba mi fa segno di seguirla e attraverso uno stretto corridoio mi introduce in un'altra stanza, altrettanto tappezzata di fotografie, e mi mostra grandi rotoli di teli bianchi sui quali sono stati ricamati i nomi degli scomparsi. I rotoli riposano ammassati , in attesa di venir srotolati ogni volta che le Donne di Srebrenica vanno in manifestazione, perché si possano leggere i nomi di tutti i loro cari. Sul tavolo all’entrata c’è un grosso volume di testimonianze da loro prodotto (The United Nations on the Sebrenica’s Pillar of Shame) . Contiene 104 testimonianze sul ruolo delle Nazioni Unite nel genocidio di Srebrenica.

Sono indecisa. E’ pesante a al ritorno dovrò “scarpinare” per quasi venti minuti a piedi con i bagagli dalla metropolitana fino a casa. Ma è un attimo. La mia fatica è veramente meno che meno di niente rispetto alla loro fatica. Me lo metto in valigia.

Il pomeriggio lasciamo Tuzla diretti a Srebrenica dove, all’arrivo, per noi è stato organizzato un buffet freddo di benvenuto alla Casa della Fiducia. Conosciamo Valentina, che ci accompagnerà durante le visite.

 

Mercoledì, 29 luglio. Srebrenica / Memoriale di Potocari

A Srebrenica tocco davvero con mano la tragedia. Sebrenica (da “srebro , argento, per via della miniera sfruttata fin dai tempi dei romani) è diventata zona protetta dalle Nazioni Unite nell’aprile 1993. La “protezione” non è servita però ad evitare i massacri testimoniati, oltre che dalla popolazione, da una delegazione di Medici Senza Frontiere che per due anni ha condiviso drammi e disagi della popolazione. Nel villaggio di Potocari, a pochi chilometri da Srebrenica, visitiamo la fabbrica che durante la guerra ospitava le forze dell’ONU e dove migliaia di musulmani bosniaci sono stati ammassati e disarmati con la promessa di libertà.

(..) Arriva il Generale Morillon del contingente francese. Il suo compito era quello di relazionare l’ Europa su quello che accadeva a Srebrenica. Se n’è andato senza aver fatto nulla. Arriva il battaglione canadese che doveva segnare il confine oltre il quale i soldati serbi non potevano entrare. Dovevano anche monitorare le entrate ma questo non è stato fatto e quindi i serbi hanno avuto potuto agire indisturbati.

Dalla Comunità Internazionale nessuna reazione. Anche i convogli umanitari venivano intercettati dai serbi e arrivava solo il 20%.

(..) Nel mese di luglio del 1995 è presente il battaglione olandese (il terzo di quelli che si sono succeduti). La zona viene occupata dall’esercito serbo bosniaco e durante i tafferugli un soldato olandese viene ucciso da fuoco incrociato e allora gli olandesi si ritirano…..

Nel luglio del 1995 migliaia di musulmani bosniaci (le fonti ufficiali parlano di circa 7.800 vittime, ma secondo alcune associazioni sarebbero oltre 10.000) furono massacrati dalle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic nella zona protetta di Srebrenica, che si trovava in quel momento sotto la tutela delle Nazioni Unite. Si è trattato di uno dei più sanguinosi stermini di massa avvenuti in Europa dai tempi della seconda guerra mondiale, al punto che nel marzo del 2007 il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja lo ha definitivamente catalogato come “genocidio e crimine di guerra”.

E’ impressionante camminare esattamente nello stesso luogo dove, come ci mostrano in un filmato originale, uomini, donne, bambini, vecchi sono stati ammassati, lasciati senza cibo e senz’acqua nel caldo afoso di quel luglio. Poco più in là il cimitero. Centinaia di stele bianche, tutte rivolte verso la Mecca.

Ho letto che la disposizione delle tante tombe non è casuale ma forma una figura a forma di fiore a simboleggiare le tante vittime, che possano essere concime per il futuro fiore della pace. Il cimitero ospita anche una zona museale con foto significative e impressionanti, sia delle fasi dello sterminio che dei successivi ritrovamenti

A Srebrenica alloggiamo presso le famiglie del luogo. Con Cristina, Ornella e Gerda pernotto a casa di Ambra Denic, la stessa che ci ha fatto la presentazione al memoriale di Potocari e ci ha mostrato il filmato dell’eccidio di Srebrenica. Ci viene incontro una bella bimbetta allegra. Ha tre anni, è la figlia di Ambra. Il marito lavora a Tuzla e lei vive con la figlia e la mamma a Srebrenica. Il nonno è morto durante l’eccidio e i resti sono stati identificati da poco. Dopo quasi 15 anni, un mese fa hanno potuto celebrare il funerale.

Prima della guerra la popolazione di Srebrenica era per due terzi musulmana (circa 28mila persone su 37mila abitanti). La città, vicina al confine con la Serbia, fu da subito oggetto di aggressioni: I serbo-bosniaci volevano annettere questa antica città mineraria per il loro progetto di Grande Serbia. Oggi, i cittadini bosniaco-musulmani rientrati stabilmente sono solo poche migliaia.

Srebrenica, con l’arrivo dei rifugiati, ha contato fino a 60mila presenze . Non c’era acqua, né elettricità. Nel 1992 Ambra riesce a scappare e vede in Tv i bombardamenti. Teme di non ritrovare più nessuna della sua famiglia. Solo a Srebrenica si sono contati duemila morti. L’aggressione è arrivata dai serbi locali, serbi bosniaci. l’esercito serbo in ritirata ha bruciato e distrutto tutto quello che ha potuto.

Rientriamo in città. Dopo pranzo prendiamo una strada nel verde. E’ l’antico sentiero che ci porta al luogo dove c’erano le terme. Le terme erano molto rinomate e rappresentavano una fonte importante di turismo. E’ stato tutto distrutto. L’albergo non c’è più, è rimasto un abbozzo di scalinata e un poco d’acqua che scende dalla montagna e scorre su di un terreno che ha assunto le tonalità del giallo e del verde. Mi dicono che il terreno è molto ferroso, da qui la colorazione. Qualcuno si chiede se non si tratti di inquinamento da olii di varia natura.

Ci raccogliamo in gruppo per scambiare le nostre impressioni. Lia solleva il problema delle donne di cui non si è mai parlato. In effetti nessun accenno agli stupri di massa, che pure ci sono stati, e sistematici. In molti convengono che l’argomento è troppo delicato per parlarne durante le visite “in pubblico” Se ne potrebbe parlare con le “donne di Srebrenica” ma in occasione di incontri sul tema.

Ritorniamo verso il centro a passo sostenuto. Ci aspetta un incontro con il Delegato del sindaco per i rapporti con le organizzazioni internazionali. Ce lo presenta Maja Huseijc che lavora per la Fondazione a Srebrenica. Ha vissuto metà della sua vita in Italia e parla un ottimo italiano, praticamente bilingue Sul muro all’entrata del municipio, una targa : “Nazioni Unite programma di sviluppo per la Comunità Internazionale”.

Il Delegato non nasconde le sue preoccupazioni. Parla di “persone che non vogliono vivere secondo un principio di tolleranza, di associazioni criminali che eliminano una o l’altra etnia (..) dice che i rappresentanti in parlamento non sono in grado di alzare la mano per votare una legge contro il fascismo…. Vogliamo un ambiente dove le organizzazioni fasciste non sfilino più il 12 luglio gridando che il 1995 si ripeterà”.

L’ 11 luglio di ogni anno si celebra il giorno del ricordo del genocidio di Srebrenica al quale partecipa la Comunità Internazionale. La comunità serba non partecipa. Il loro giorno della memoria è il 12 luglio ed è in quella giornata che a Srebrenica, gruppi di ultranazionalisti serbi sfilano gridando: “ci sarà un altro 11 luglio e il 1995 si ripeterà ”.

Continua : “ Senza la comunità internazionale non ce la potremo fare ….. Abbiamo proposto alla Comunità Internazionale di adottare l’ 11 luglio come giornata nazionale del lutto, come invece da noi non accade mai, ed è veramente assurdo che proprio qui non venga commemorata questa giornata”.

Denuncia l’instabilità sia politica che economica per cui nessun privato rischia. Parla della mancanza di lavoro a Srebrenica ma aggiunge che in una economia la risorsa più importante è la risorsa umana e molti non sono tornati perché si sono organizzati all’estero. “Ho viaggiato per ben otto anni dove c’era la nostra gente ….. stiamo cercando di promuovere piccoli progetti di qualità da sottoporre a cittadini che sono all’estero. Spero che rientrino perché non abbiamo alternative” .

 

Giovedì 30 luglio. Da Srebrenica a Sarajevo.

La mattina lasciamo Srebrenica, diretti a Sarajevo. La natura è bellissima. Boschi, fiumi. La Drina scorre maestosa formando delle anse tanto larghe da sembrare dei laghi, in mezzo a montagne verdissime.

A Sarajevo non diresti mai che c’è stata una guerra. E invece i cittadini di Sarajevo, che si trova in una conca circondata da montagne alte fino a duemila metri, sono rimasti sotto assedio per 44 mesi. Oggi restano solo alcune case le cui facciate mostrano la sventagliata delle mitragliatrici. Per il resto è stata completamente ricostruita. Quello che non si potrà mai più ricostruire sono le migliaia di libri bruciati nell’incendio della Biblioteca Nazionale, distrutta non per caso ma volutamente, per distruggere i testi della cultura islamica. Testi vecchi di centinaia di anni. Prima della guerra la Biblioteca custodiva un milione e mezzo di libri, tra i quali 155mila esemplari rari e preziosi e 478 manoscritti. Era l’unico archivio nazionale di tutti i periodici pubblicati in / sulla Bosnia Erzegovina. Dopo tre giorni di rogo, della biblioteca rimanevano lo scheletro di mattoni e dieci tonnellate di cenere.

“Una grande catastrofe culturale”, così il Consiglio d’Europa ha definito la distruzione della Biblioteca Nazionale di Sarajevo.

Pernottiamo all’ ostello francescano in Zagrebacka 18, completamente ristrutturato. Stanze ampie, bagno in camera. Più che un ostello si direbbe un albergo! Dall’ostello, passeggiando per un lungo tratto lungo le rive della Miljacka, ci dirigiamo verso il centro città dove ci accoglie la Fiamma Perenne, il monumento alla liberazione dal fascismo della II guerra mondiale.

Passiamo vicino al mercato coperto, tristemente noto per la strage che lì ha avuto luogo. Visitiamo la vecchia chiesa ortodossa in Mula Mustafe Baseskije . Sulle due colonne centrali all’interno sono stati dipinti i colori della bandiera serba. Poi visitiamo la grande moschea di Gazi Husrev-Bey, che rappresenta la più interessante testimonianza della cultura islamica. In Piazza della Liberazione giocatori di scacchi giocano con pedine ad altezza uomo.

La città è vivissima. Nel quartiere turco, la Bascarsija, decine di botteghe artigianali, ristorantini ovunque, molti in cortiletti interni immersi nel verde. Tantissimi giovani, proprio tanti, e la sera tante luci. Quelle di Ulica Ashiluk , con le grandi lampade sospese di molti colori, mi ricordano la Cina di Lanterne Rosse, il film del 1991 di Zhang Yimou . Ovunque, è tutto pulito !!!! Puliti i ristoranti, i servizi, le strade.

 

Venerdì, 31 luglio. Sarajevo.

La mattina, nel giardino dell’ostello, incontriamo Jovan Divjak , generale della difesa territoriale, ora in pensione. Viene introdotto da Mme Ismeta che ha lavorato al Ministero dell’ interno e ha fatto da tramite per questo incontro. Una breve presentazione prima di andare a visitare Sarajevo alta, dove ci mostrerà i luoghi dell’assedio, da dove partivano i colpi di artiglieria sparati dai serbi Ci parla del grosso problema con i giovani, per via della disoccupazione che tocca il 40% perché oggi in Bosnia solo il 30% dell’industria è funzionante. Gli stipendi si aggirano intorno ai 350 euro/mese e le pensioni sono di circa 150 euro/mese. Per capire il cambio, un pranzo medio, abbondante, ci è costato circa 6 euro a persona.

Il generale Divjak oggi dedica tutto il suo tempo ai giovani e ha fondato l’associazione “L’Educazione costruisce la Bosnia Erzegovina” che si occupa degli orfani di guerra, fornendo loro sostegno morale e materiale per poter proseguire gli studi. In 12 anni, tramite l’associazione, sono state assegnate più di 24mila borse di studio.

Con due pulmini andiamo a visitare la casa nel cui cortile, sul retro, c’è l’imbocco del tunnel che in pieno assedio i sarajevesi hanno scavato sotto la pista dell’ aereoporto dell’Onu per poter raggiungere il monte Igman, la sola vetta tenuta dalle loro truppe, per rifornirsi di cibo e di armi.

Ci mostrano un video con le fasi della costruzione. Ottocento metri di lunghezza, 1,70 di altezza . Era stato posato anche un binario per far scorrere i carrelli (come in miniera) per trasportare le merci. Il tunnel disponeva di areazione e di elettricità. Il Generale Jovan Divjak ci fa da cicerone. Sono seduta vicino a lui e cerco di trasferire le sue parole nella mia agendina rossa. Mentre parla, mi fa il regalo di una carezza sulla nuca.

Ex generale di Tito, allo scoppio del conflitto non ha avuto dubbi da che parte stare. Lui, serbo da quarant’anni in Bosnia, è rimasto a difendere la “sua” città. Ha dimostrato che non tutti i serbi erano con Karadzic. Dice: “ci sentivamo bosniaci prima di ogni altra cosa, e desideravamo tenere in vita una società multiculturale. (…) secondo Karadzic eravamo traditori che, restando a Sarajevo, lavoravano per l’islamizzazione d’uno Stato serbo. Ma la maggior parte delle famiglie serbe viveva in Bosnia da più di 500 anni! (“Sarajevo, mon amour”).

Dina, la nostra guida, ci dice che durante l’assedio ha traversato tre o quattro volte il tunnel per andare a trovare la madre che stava dall’altra parte. Penso che qui tutti hanno vissuto situazioni tragiche e ora ce le raccontano serenamente, con il sorriso sulle labbra come se si fosse trattato di passeggiate. Sono persone davvero speciali.

 

Sabato 1 agosto. Da Sarajevo a Mostar

Lasciamo Sarajevo diretti a Mostar. Giornata libera fino alle 17.00. Appena arrivati, ci dirigiamo immediatamente verso Il Ponte Vecchio costruito nel 1566 durante la dominazione ottomana. Lo “Stari Most” era il simbolo della memoria collettiva. Ha resistito più di 400 anni prima di essere abbattuto dai cannoni croati nel novembre del 1993. Il ponte è stato ricostruito fedelmente all’originale grazie ai finanziamenti internazionali ma ....“Ora quel ponte è di nuovo al suo posto, ricostruito più o meno com’era, fin troppo lindo, quasi da sembrare finto. E un po’ lo è” Scriveva così Michele Nardelli in un articolo del 16 agosto 2004. In effetti è troppo lucido. Si rischia di scivolare sulla pavimentazione in marmo intervallata da una sorta di gradinata formata da strisce che traversano orizzontalmente il ponte, intervallate a brevissima distanza l’una dall’altra. Nell’ “originale” c’erano delle battute in terra per poter far transitare anche le carrozze ed i cavalli e la presa era sicuramente migliore.

Lo spettacolo è molto bello. Dall’alto dei suoi 25 metri vedo la Neretva scorrere fra costoni di montagna punteggiati da piccoli insediamenti che la sera, con le loro luci , fanno venire in mente un presepe. Ma Mostar soffre ancora, dopo tanti anni dalla fine della guerra, di una frattura sociale che esaspera le separazioni e incancrenisce gli animi.

Spesso il fatalismo è d’obbligo. La nostra guida ci dice che loro non hanno bisogno di molto per essere felici. Che hanno subito tante dominazioni e ogni 50 anni c’è una guerra così, quando sono in pace, sono felici. Noi, aggiunge serenamente, possiamo contare sul fatalismo islamico e sulla rassegnazione cristiana.

Scriveva Paolo Rumiz: “Mostar era una città tollerante e aperta alle diverse culture. Luogo d’incontro fra cattolici, musulmani e ortodossi. Il Ponte Vecchio, che collegava le due parti della città, era il simbolo della multiculturalità, per questo fu abbattuto. Era il simbolo e non la pietra che si voleva disintegrare . Le moschee sono cresciute da 13 a 37. Forse quelle moschee sarebbero rimaste 13 se qualcuno non avesse cominciato la guerra con la scusa di un fondamentalismo che in Bosnia non esisteva ancora”.

Nella parte ovest, la chiesa francescana ricostruita è diventata un mostro di cemento che torreggia per superare in altezza le moschee. Ci infiliamo nelle viuzze del centro, fitte di bottegucce e souvenirs. Ma appena oltre, la città mostra ancora le ferite dei bombardamenti. Case sventrate dove la vegetazione ha preso il sopravvento.

Continua Rumiz : Distruggere la pietra antica significa tagliare la memoria di chi verrà, dirgli che la coabitazione non è mai esistita, non può esserci, dunque non ci sarà mai”. Circa 100 i luoghi sacri ortodossi distrutti in guerra, 3.400 quelli cattolici, più di 10.000 gli edifici religiosi musulmani ridotti i cenere. Queste distruzioni non furono causate da bombardamenti ma furono scientemente rasi al suolo, cancellati dalla faccia della terra

 

Sabato 1 agosto / domenica 2 agosto

Il nostro viaggio è terminato. Lasciamo Mostar nel tardo pomeriggio e dopo aver viaggiato tutta la notte, la mattina presto siamo in Italia. Baci e abbracci. Ognuno verso casa con il suo bagaglio di emozioni e di ricordi.

 

Dopo la guerra.

Nel novembre 1995, nella città americana di Dayton, fu firmato l’accordo che poneva fine alla guerra in Bosnia Erzegovina. Il Paese fu diviso in due entità semi-indipendenti: la Federazione di Bosnia erzegovina e la Republika Srpska . Ogni entità ha un proprio governo, la propria polizia, un proprio sistema d’istruzione e sociale, il diritto di riscuotere le tasse. La Federazione è a sua volta divisa in dieci Cantoni, ciascuno a maggioranza croata o musulmana. Le entità sono soggetti amministrativi autonomi, all’interno della Bosnia Erzegovina unitaria. Sono aree oggi a stragrande maggioranza serba (Republika Srpska) oppure croato-musulmana (Federazione).

La scuola è competenza locale della Republika Srpska e dei singoli cantoni in Federazione, e le legislazioni sono perciò differenziate. In alcune aree la scuola è unica ma vi sono poi insegnamenti di storia, letteratura e religione separati per gruppo nazionale. Altrove invece esistono scuole separate, in genere dentro uno stesso edificio ma con turni diversi di utilizzo oppure con ingressi separati (“due scuole sotto un unico tetto” !!).

 

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Pensando a tutto quello che ho visto e sentito mi torna alla mente una frase pronunciata dal Delegato del sindaco a Srebrenica, che mi ha particolarmente colpita : “ho la sensazione di vivere una reincarnazione. siamo qui a difendere la multiculturalità, qui, dove fino all’ultima guerra era una realtà acquisita”.

Già, come è potuto accadere tutto questo? Perché tanto odio? Chi, che cosa ha acceso la miccia. Chi ha permesso che il fuoco strisciasse, fino a provocare la deflagrazione finale? Non posso fare a meno di pensare alle tante pulizie etniche che si sono succedute nella storia, dagli indiani d’america fino allo sterminio di milioni di ebrei. Non posso fare a meno di essere preoccupata per il clima di insofferenza e ostilità verso il diverso che sta venendo avanti in Europa ed in particolare in Italia, per le sofferenze che infliggiamo a chi cerca rifugio da guerre, disastri ambientali, povertà, violenze. Per le accuse facili (forse che tutti i cristiani devono essere considerati mafiosi se un mafioso va in chiesa?) per la sordità ad ogni richiamo di umanità, per l’incapacità di capire ed accettare una semplice logica e cioè che la pace si costruisce sulla convivenza e la convivenza si costruisce solo e soltanto sull' accettazione delle diversità e non sulla presunzione che un popolo sia superiore ad un altro.

La strada sembra incontrare ancora molti ostacoli ma “gemme” di speranza mi vengono dalle persone, stupende, incontrate durante il viaggio e dalla lettura delle pagine di “Darsi il Tempo” , là dove si parla delle reti di una nuova cittadinanza, e si porta l’esempio di Prijedor: alcuni comuni trentini partner della relazione fanno parte del Parco naturale regionale dell’Adamello-Brenta (..) si attiva così una relazione con il Parco nazionale del Kozara con scambi che portano ad un gemellaggio. Viene coinvolto il SAT, storica sezione trentina del Cai che propone la partecipazione di alcuni giovani alpinisti (..) il manuale prodotto sulla sentieristica viene presentato nella sede degli amici della Bjelansnica, forse il più antico circolo a Sarajevo di amanti della montagna (…) a Prijedor vengono coinvolti una decina di giovni artisti della zona per realizzare un sentiero naturalistico da decidare alla land art …. E i passi seguono”.

Una contaminazione continua, inarrestabile, una “gemmazione” , proprio così viene definita nel libro. Relazioni, scambi, impegno comune che produce altre relazioni. Questa è la strada.

 

Grazie all’Associazione Alex Langer, a Mauro Cereghini - coordinatore del progetto “Adopt Srebrenica” - che con le sue “pillole” sulla realtà della Bosnia Erzegovina, ha aperto una finestra su di un mondo a me abbastanza sconosciuto. Grazie a Stefano e a Francesco che hanno supportato e “sopportato” pazientemente il carico di un gruppo di 40 persone. Grazie ad Andreas che ci ha condotti per tutto il viaggio senza scossoni …… E grazie alle compagne e ai compagni di viaggio per le giornate piacevoli trascorse insieme.

 

Un grande abbraccio

Paola Cannata

 

La Fondazione Alexander Langer Stiftung è nata nel 1999 grazie al contributo di numerose persone, associazioni e istituzioni, allo scopo di sostenere gruppi  e persone che con la loro opera contribuiscono a mantenere viva l’eredità del pensiero di Langer (1946-1995) e perseguono il suo impegno civile, culturale e politico per la “difesa dei diritti dei singoli e dei gruppi minoritari contro ogni discriminazione di natura economica, religiosa, razziale e sessuale (..).

 

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