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Rambaldo degli Azzoni: Srebrenica, la terza volta

20.11.2007, Storie di note

Dal sito di "storie di note" riportiamo qui di seguito la testimonianza di Rambaldo Degli Azzoni in occasione del concerto tenuto presso il Centro Giovani di Srebrenica (Bosnia-Herzegovina) il 31 agosto 2007, in occasione dell’iniziativa “International Cooperation for memory” -

Srebrenica la terza volta.
Ci sono stato nel luglio 2005 per il decimo anniversario del giorno in cui iniziò il genocidio della minoranza bosniaca, oltre 8000 morti, praticamente tutti maschi tra i 14 e i 70 anni, sterminati in poche ore dai miliziani guidati dal criminale Ratko Mladic.
In quell’occasione nel Cimitero - Memoriale di Potocari, di fronte alla fabbrica degli orrori che fu quartier generale dei caschi blu prima canadesi e poi olandesi, venivano sepolti i resti dei primi cadaveri ritrovati in alcune fra le tantissime fosse comuni di cui è disseminata la zona, riconosciuti con un lavoro difficilissimo attraverso il DNA prelevato ai parenti che invocano la sepoltura dei loro cari sterminati e scomparsi (fino ad ora ne sono stati sepolti 2900).

C’erano tante donne madri, mogli, figlie, sorelle, nipoti dei morti, c’erano di fronte a loro, a fare da servizio d’ordine per i Grandi del Mondo presenti (il guerrafondaio Wolfovitz fra gli altri), ora in uniforme ufficiale della polizia della Repubblica Srpska, molti fra gli sterminatori dei loro uomini.
Srebrenica, 8 chilometri oltre, nella stretta valle, era un surreale spettacolo di orrore e morte, senza corrente elettrica e nel pieno di un tremendo temporale che aveva fatto buio alle 5 del pomeriggio il 10 luglio.

Sono tornato nella cittadina bosniaca, un tempo ridente località termale e mineraria (Srebr vuol dire argento) a due passi dal confine con la Serbia, nel giugno 2007.
Per chi era con me e vi giungeva la prima volta la sensazione di morte, di tempo fermatosi ai giorni dell’assedio e degli eccidi, era forte; per me il tornarci in una splendida giornata di sole aveva dato una sensazione nuova, sentivo qualcosa di positivo in me, come un filo di speranza che nasceva per quel luogo dimenticato da Dio e dagli uomini.

Ci sono appena ritornato per la terza volta e ho trovato Srebrenica ancora diversa, piena di gente venuta dall’estero e soprattutto dall’Italia per la settimana di incontri, convegni, seminari ed eventi culturali denominata “International Cooperation for memory”, promossi dalla Fondazione Alexander Langer di Bolzano e dall’Associazione Tuzlanska Amica di Tuzla (Bosnia Herzegovina), nell’ambito del progetto “Adopt Srebrenica”.

Ritrovare quel luogo ancora pieno di ferite, macerie, palazzi bucherellati, sguardi sospettosi, con pochissimi bambini e tanti cani abbandonati per le strade, ma stavolta con diversi caffè e ristoranti aperti (in gran parte ad esclusivo uso e consumo internazionale, ma comunque..), con tanta gente per le strade, musica e miscugli linguistici, è stato un ulteriore piccolo passo in avanti nella speranza.

Questo mio terzo viaggio in quei luoghi, lontanissimi nella percezione collettiva eppur nel pieno dell’Europa, oltre a darmi queste sensazioni di risveglio vitale, mi ha permesso, attraverso l’ascolto di nuove testimonianze di sopravvissuti e la visione di documentari e filmati recentemene reperiti, di comprendere ancor meglio e nel modo più crudo e sconvolgente l’entità della catastrofe umanitaria e dello sterminio che ne è succeduto.
Informazioni che dimostrano in modo inequivocabile come le popolazioni musulmane di Srebrenica e dei villaggi circostanti, pur trovandosi in un’area dichiarata “Zona protetta delle Nazioni Unite” con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 18-4-93, nonostante la presenza di un contingente olandese di Caschi Blu, furono totalmente abbandonate a loro stesse, senza armi (se non fucili da caccia di fronte a mortai e carri armati) con cui difendersi e, quando in 25.000 chiesero direttamente protezione ai soldati olandesi dopo la caduta della città nelle mani di Ratko Mladic e dei suoi aguzzini (tra cui i famigerati Scorpioni, la più sanguinaria milizia serba, di fronte a cui le Tigri del celebre Arkan pare sembrassero agnellini), furono letteralmente consegnate ai loro futuri macellai dagli stessi caschi blu, che dopo aver abbandonato tutte le loro armi ai massacratori, fuggirono prima a Belgrado e poi a Zagabria.

Tutto ciò nella più totale indifferenza di noi dell’Europa civile, che all’epoca, al massimo, potevamo intressarci un po’ allo spettacolo televisivo giornaliero del sangue dell’assedio di Sarajevo.

Srebrenica, solo 150 km. a nord-est praticamente non esisteva, se non per i pochi che, come Emma Bonino e Alexander Langer, rilanciarono, anch’essi inascoltati, le disperate richieste di aiuto della popolazione sotto assedio.
In quest’occasione, più che mai, mi sono trovato, calcando gli stessi luoghi dove 12 anni prima si consumarono il tradimento e lo sterminio, a percepire fisicamente il dolore, la disperazione, l’angoscia, la rassegnazione, che le 25.000 persone che vi restarono
accalcate per oltre 48 ore provarono prima della soluzione finale.

 

Le sensazioni che si provano in quel luogo restano incancellabili nel proprio animo e nella propria coscienza.
Lottare per rendere nota all’opinione pubblica questa immane tragedia e per far si che proprio da Srebrenica nasca qualcosa di nuovo e di diverso, che metta da parte dogmi, competizioni religiose, interessi politici ed economici, e porti in primo piano gli esseri umani solo in quanto tali, è una sfida ineluttabile, una necessità.

Srebrenica continua ad essere un buco nero dell’informazione, della politica, della solidarietà; le istituzioni internazionali sono totalmente assenti, in questi 10 anni o poco più di traballante dopoguerra da quelle parti si sono viste solo associazioni private,
quasi esclusivamente italiane, al 90% dell’Emilia Romagna.

Pochi giorni orsono, al Festival del Cinema di Venezia, il celebre attore Richard Gere ha presentato il film di cui è protagonista “The Hunting Party”, in cui interpreta un giornalista di guerra statunitense che, dopo il ‘95, alla fine ufficiale della guerra in Bosnia, torna in quei luoghi per mettersi sulle tracce dei criminali Karadzic e Mladic. Negli articoli di presentazione dell’evento, nelle recensioni del film, nelle varie interviste rilasciate da Gere gli orrori della guerra vengono identificati esclusivamente in Sarajevo e Mostar; anche in questo caso, come continua a succedere da quei tragici giorni del ‘95, Srebrenica non viene neppure nominata, non esiste.

 

E’ necessario che questa vicenda sia conosciuta dall’opinione pubblica italiana ed internazionale, che abbia lo spazio che deve avere, molto, sui libri di storia, che il tradimento subito da parte dell’intera comunità internazionale da Srebrenica e dalle sue genti entri come un macigno nelle nostre coscienze …
Ritengo che la musica e gli artisti possano fare molto per questo, attualmente soprattutto qui in Italia, contribuendo attraverso i propri lavori artistici e le tante occasioni di incontro fisico e telematico col pubblico, a destare interesse su questa incredibile vicenda e sui significativi progetti, in primis “Adopt Srebrenica”, che con grandi difficoltà cercano di contribuire ad abbattere le barriere culturali createsi, a dare fiducia a genti totalmente traumatizzate dagli eventi, a costruire occasioni sia economiche che culturali per il futuro , che credono nella scommessa di aiutare Srebrenica a ritornare forse un giorno quel ridente, vivo e colorato villaggio immerso nella natura che era prima della guerra, divenendo nel contempo luogo-simbolo di un riscatto e del rispetto che ci deve essere per i diritti di ogni essere umano, indipendentemente da etnia, religione, cred politico o altro.

Tutto ciò, naturalmente, senza rinunciare a mantenere viva la memoria sugli eventi, alla ricerca della verità e della giustizia per tutti i colpevoli (come singoli individui, senza colpevolizzare interi popoli), al ritrovamento, al riconoscimento e alla sepoltura dei corpi degli oltre 5000 che ancora mancano all’appello.

Graziano “Uazza” Cernoia, fonico dei Modena City Ramblers, mi ha trasmesso il “Mal di Srebrenica”, portandomici nel 2005 insieme al Parto delle Nuvole Pesanti; io ho portato in seguito con me, a visitare e conoscere, oltre che a suonare e documentare, musicisti legati a Storie di note come Beppe Frattaroli e Fabrizio Zanotti, insieme ai loro collaboratori Federico Monetta e Lorenzo Macrì, e il nostro nuovo responsabile di ufficio stampa e promozione Simone Arminio, e tutti loro sono rimasti immensamente coinvolti in questa storia, ripromettendosi di dare in ogni possibile maniera il loro contributo.

Cercheremo in futuro, oltre a collaborare con le iniziative di chi come Beppe e Fabrizio già conosce ed è coinvolto, di portare altri testimoni del nostro mondo musicale che vogliano anch’essi in qualche modo, con la loro arte e passione, adottare Srebrenica.

Rambaldo Degli Azzoni

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