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Cara Staša eccoci

26.1.1992, "Il Manifesto", 26.1.92 - risposta alla lettera della pacifista di Belgrado Staša Zajović pubblicata alcuni giorni prima sullo stesso giornale


Carissima Staša, carissimi amici di Belgrado, di Zagabria, di Skopje, di Sarajevo, di Subotica, di Prishtina, di Ljubljana, di Titograd, di Buje, di Spalato, di Tetovo, di tutta la Jugoslavia lacerata, che resistete al richiamo della foresta nazionalista.

Sì, avete proprio ragione, facciamo fatica a trovare il modo più giusto per aiutarvi, e forse siamo anche un po’ distratti, oltre che frastornati. Qualcuno qui ha bevuto ed amplificato la semplicistica equazione tra autodeterminazione e separazione etnica, o tra Zagabria=democrazia e Belgrado=totalitarismo. Qualcuno, un tempo antimilitarista, ha scelto di esibirsi in divisa croata, e qualcuno pensa che ogni secessione di entità minori porti di per sé ad un di più di partecipazione e di autogestione, perché “piccolo è bello”. Qualcuno invece sacrificherebbe in nome della pace in Europa i diritti di alcuni (magari nel Kossovo, o in Voivodina...), qualcuno guarda solo alla sorte degli italiani, qualcuno spera di poter finalmente riprendersi l’Istria e – perché no? – la Dalmazia, qualcuno piange perché l’ardita costruzione pluri-nazionale di Tito è andata in pezzi... Quando si parla dell’Italia o della Comunità europea, le critiche che si avanzano sono talvolta di segno totalmente opposto e contrario: chi lamenta il ritardo nel prendere le parti delle repubbliche dichiaratesi indipendenti, e chi viceversa critica la connivenza unilaterale col nord cattolico, benestante e secessionista. Insomma: c’è molta confusione, ogni dibattito sulla Jugoslavia si infuoca presto e offre poche soluzioni. Come da voi, del resto, dove si infuoca ancora di più, e sfocia nel sangue. Forse solo ora la Serbia di Milošević si accorgerà di aver dato, con la sua sanguinosa e sporca guerra, una mano decisiva allo sfascio di ogni idea di “Commonwealth” jugoslavo ed al riconoscimento internazionale delle nuove repubbliche senza nemmeno pretendere la loro reale partecipazione ad un negoziato di pace. E magari (speriamo presto) a qualcuno verrà il dubbio che lo storico Tudjman che nega l’Olocausto nazista e minimizza la strage di serbi compiuta dai fascisti croati alleati ai nazisti, non sia poi quell’alternativa democratica al nazi-bolscevico Milošević come qualcuno lo vorrebbe dipingere. 

Ma tant’è: la guerra non si è potuta evitare, ed anche ora che la tregua di Cyrus Vance e di Lord Carrington sembra momentaneamente rallentare il terribile ritmo della violenza, e che il tifo pro o contro il riconoscimento diplomatico di Slovenia e Croazia è superato dai fatti, siamo ancora lontanissimi dalla pace. Anzi, certe polveriere sono lì lì in attesa di esplodere, e forse di incendiare tutti i Balcani e tutta l’Europa: dal Kossovo alla Bosnia Herzegovina, dalle regioni serbe della Croazia alla Macedonia... La ricetta semplicistica di moltiplicare gli stati nazionali ed i confini e di promettere ad ognuno un suo “homeland” sovrano, con tanto di esercito, zecca e francobolli, esigerebbe una tale epurazione etnica, con espulsioni e trasferimenti di enormi masse di persone, che non potrà andare in porto pacificamente. E di alternative democratiche e pluri-etniche non è che se ne vedano, per ora, tracce molto convincenti.

Ecco perché in Europa dobbiamo ora muoverci con più decisione di prima. Sono importanti, ma non bastano le “carovane di pace”, i “dialoghi di pace” tra esponenti dei diversi popoli jugoslavi che si incontrano all’estero, gli aiuti di emergenza a profughi, disertori e vittime della guerra. Bisognerà muoversi, innanzitutto, per incoraggiare e sostenere gli sforzi di tutti quelli – e ce ne sono ancora tanti, malgrado tutto – che nelle diverse repubbliche jugoslave antepongono le ragioni della convivenza tra nazionalità diverse e dei diritti di tutti (maggioranze o minoranze che siano) alle affermazioni di nazionalismo e di esclusivismo etnico della propria parte. Chi vorrà tifare per la Croazia o la Slovenia, oggi, o la Serbia, il Montenegro o il Kossovo domani, lo farà e si troverà i suoi amici ed i suoi nemici. Ma c’è un gran bisogno di sostenere coloro che vanno contro corrente, e che sono i soli che indicano una strada praticabile per il futuro: i serbi che si oppongono alla politica antidemocratica e granserba di Milošević e di Drasković e che sono solidali con gli albanesi del Kossovo, i croati che si oppongono al nazionalismo croato di Tudjman e cercano soluzioni per le comunità serbe incluse in Croazia, gli sloveni che lottano per una Slovenia smilitarizzata e per il diritto alla cittadinanza anche degli immigrati provenienti dalla Jugoslavia del sud, i montenegrini che non vogliono che la loro repubblica sia vassalla di Milošević, i macedoni che riconoscono pari diritti ai loro concittadini di lingua albanese, i musulmani della Bosnia che si oppongono alla spartizione del loro paese tra serbi e croati, e così via. Le donne che manifestano contro la guerra, i disertori ed i renitenti alla guerra ed al richiamo nazionalista. Insomma: un sostegno deciso a coloro che si oppongono alle terribili e violente semplificazioni nazionaliste ed ideologiche che fruttano guerra e che dalla guerra si rafforzano, ed ancora cercano e praticano iniziative e soluzioni di dialogo, di convivenza, di democrazia e di pace. Sarà meno sloganistico, occorreranno spiegazioni più complicate e negoziazioni più complesse, ma non esistono alternative su cui costruire soluzioni di diritto e di democrazia, invece che di forza e di separazione etnica.

Ecco perché in tanti andremo alla manifestazione che domenica 2 febbraio 1992 riunirà i pacifisti europei a Belgrado, intorno agli obiettori di coscienza, alle donne anti-guerra, ai gruppi dell’“assemblea dei cittadini di Helsinki”, a coloro che raccolgono firme per fermare l’impiego dell’esercito fuori dai confini della Serbia, e sappiamo che lì troveremo anche molti dei nostri amici croati e del Kossovo e macedoni e bosniaci...

Ed ecco perché stiamo costruendo (a partire da una prima riunione che si svolgerà lunedì 27 gennaio 1992 alla Casa della nonviolenza a Verona) un “Comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace in Jugoslavia”: abbiamo capito il tuo appello, Stasa, e ci attrezziamo per rispondere con tenacia e pazienza, sapendo di avere davanti tempi lunghi e duri.

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