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Sulla creazione di un tribunale internazionale contro i crimini di guerra nell`ex-jugoslavia

1.3.1994, Mani Tese - Il viaggiatore leggero
Berlino, lunedì 12 dicembre 1994: quarto ed ultimo giorno di udienza, nel municipio di Schöneberg, del Tribunale internazionale che giudica sulle violazioni delle convenzioni internazionali in materia di rifugiati e diritto d'asilo.

Il presidente, François Rigoux (Università cattolica di Lovanio), legge la sentenza che riconosce colpevoli gli Stati membri dell'Unione europea e dell'EFTA di ripetute e sistematiche violazioni di diritti umani sanzionati dal diritto internazionale, ritiene responsabili gli Stati delle violazioni commesse dai loro organi e funzionari e dichara che le parti lese hanno diritto ad un adeguato risarcimento. Nell'ampia motivazione della sentenza si citano una dozzina di fonti incontestate del diritto internazionale (Convenzioni e Dichiarazioni ONU, protocolli e patti internazionali...) con tanto di date e ratifiche. Un allegato alla sentenza propone in 21 punti misure e riforme che potrebbero meglio garantire il rispetto dei diritti la cui violazione è stata constatata. Tra i testimoni dell'accusa (sostenuta dal legale britannico Francis Webber) lo zingaro macedone Tair Krasnic, il curdo Ibrahim Doruk, la colombiana Clara Eugenia Valencia-Guerrero: tutte persone che raccontano le loro odissee di rifugiati alle prese con gli Stati europei, intenti principalmente ad impedire loro di far valere eventuali diritti loro spettanti. La difesa, sostenuta dall'avvocato tedesco Thomas Jung, appare votata ad una causa persa: impossibile trovare esimenti ed attenuanti sufficienti a scagionare gli accusati. I giudici, provenienti da nove paesi diversi (per l'Italia c'è Luigi Ferrajoli), appaiono sostanzialmente unanimi.

La solennità dell'evento, l'attenzione pubblica, la fondatezza delle argomentazioni... tutto vero, tutto bello. C'è solo un neo: quel Tribunale è rivestito di autorità meramente morale, derivata dall'essere un "Tribunale Basso" (successore dei "Tribunali Russell"), e dal prestigio dei suoi membri. Ma giuridicamente il Tribunale non ha alcuna giurisdizione reale e la sua sentenza non ha alcun peso, resta iscritta nel libro dei sogni di un mondo più giusto. Come accadeva, del resto, alle sentenze precedenti, emesse nel corso degli anni da analoghi Tribunali sul Vietnam, sulle dittature in America Latina, sull'occupazione dell'Afghanistan, sul regime di Marcos nelle Filippine, sul Tibet, su Bhopal...

Nondimeno un evento come quello che si è appena concluso a Berlino, rafforza assai una domanda internazionale ormai consolidata - una "fame e sete di giustizia internazionale", come la si potrebbe chiamare. Se ne rende ben conto anche l'ordinamento degli Stati.

"La costruzione di una società internazionale retta dal diritto è un'opera lenta, modesta, caotica, aleatoria. Non soddisfarà nè gli amanti di eventi sensazionali, nè gli avventurieri dell'immediato. Sono pertanto i pazienti progressi della norma internazionale a segnare più sicuramente le tappe dell'evoluzione della morale universale." Si esprime così il Segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros Ghali, nel suo discorso del 17 novembre 1993 all'Aja, al momento di insediare il Tribunale penale internazionale incaricato di giudicare gli autori di violazioni del diritto umanitario commesse nell'ex-Jugoslavia. Ed aggiunge: "La creazione di questo Tribunale sull'ex-Jugoslavia è sotto ogni aspetto esemplare".

La fine della divisione del mondo in due blocchi politico-militar-ideologici, egemonizzate da due super-potenze che fungevano anche da gendarmi e giustizieri mondiali, ha decisamente rafforzato l'evidenza della necessità del rapido perfezionamento di un sistema di diritto internazionale, capace di statuire, di sanzionare e di far rispettare ed eseguire quanto legittimamente deciso. L'affermazione del diritto senza alcuna possibilità di sanzionarne l'efficacia rischierebbe, infatti, di restare una testimonianza puramente morale - sempre importante, ma alla prova dei fatti impotente e quindi, alla lunga, pericolosa per la stessa credibilità del diritto. D'altronde l'espletamento del giudizio e della sanzione delle violazioni gravi del diritto internazionale ad opera di un'istanza di parte e magari semplicemente del più forte o del vincitore (come dal processo di Norimberga alla guerra del Golfo è avvenuto molte volte), non potrebbe soddisfare l'esigenza dell'instaurazione di un credibile ed efficace ordine giuridico internazionale: si rischierebbe sempre di muoversi più nel campo dell'usurpazione che dello svolgimento legittimo ed autorevole di funzioni pubbliche comuni. Gli stessi "tribunali morali" sono - al di là del loro valore altamente simbolico - inadeguati e sempre sospettabili di riunire dei giudici partigiani che sentenziano per partito preso.

Ecco perchè da molte parti e da lungo tempo si avanzano richieste e proposte perchè l'ordinamento internazionale si attrezzi per fare fronte all'accresciuta quantità e qualità delle ferite che vengono inferte alla convivenza tra gli uomini e con la natura: si possono menzionare crimini come il genocidio o l'apartheid o altre forme violente ed estese di "epurazione etnica" (come ormai sempre più frequentemente viene chiamata), la sistematica e massiccia violazione dei diritti umani, le gravissime e spesso irrimediabili aggressioni all'ecosistema, l'uso sistematico della tortura o dello stupro, il traffico di stupefacenti ed il riciclaggio di denaro sporco, la riduzione in schiavitù di molte persone (nei postriboli, nella vendita di bambini...) o l'uso di esseri umani come miniere di organi da trapianto, i crimini di guerra previsti da numerose convenzioni internazionali. Forse bisognerà pensare anche a nuove ed ancora più pericolose forme di violazioni internazionali come gli attacchi deliberati e massicci alla stabilità monetaria, alla salute pubblica internazionale, a elementari e fondamentali diritti sociali, all'integrità psico-fisica e persino biologico-genetica del genere umano e di altre specie viventi. Forse un giorno anche l'aggressione ed il degrado irrimediabili del fondamentale patrimonio estetico sarà riconosciuto come crimine internazionale.

Va riconosciuto l'eccezionale passo in avanti che su questa strada è stato compiuto con l'istituzione del Tribunale internazionale sull'ex-Jugoslavia, per quanto debole si sia sin qui dimostrato. Si tratta di una risposta straordinaria, decisa - dopo molte ed importanti pressioni democratiche, non solo di governi, ma di cittadini in tutto il mondo - dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e sarà senz'altro destinato a "fare giurisprudenza" e, si potrebbe dire, a "fare storia", nel bene e nel male, anche al di là del drammatico contesto ex-jugoslavo.

E' innegabile, infatti, che ormai è riconosciuta l'esigenza di bandire l'uso della forza anche nei rapporti internazionali (sempre più devastante ed incalcolabile nei suoi effetti) per farsi giustizia e di superare la ristretta dimensione della sovranità nazionale che sin qui è stata sede e limite principale dell'attuazione del diritto: nient'affatto imparziale e quindi "giusta", come norma e sanzione giuridica devono essere. Le violazioni del diritto ormai sempre più spesso hanno effetti e conseguenze trans-nazionali, lo stesso diritto e la sua attuazione devono quindi tendere ad una portata ed autorità sovra-nazionale ed è ormai un obiettivo universale almeno teoricamente riconosciuto quello di statuire e far rispettare il monopolio internazionale nell'uso legittimo della forza da parte di un'autorità comune.

L'istituzione del Tribunale internazionale sull'ex-Jugoslavia ha significato che ormai di tutto questo non solo si discute, ma si comincia a verificarlo nell'attuazione pratica.

Un altro passo importante è stato compiuto a fine novembre 1994 a New York, dove l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (la 49^) ha accolto la proposta della Sesta Commissione (Giuridica) di muovere ormai con decisione verso la costituzione di una Corte penale internazionale permanente. La pressione di alcuni gruppi assai attivi su questo tema (intorno al partito radicale e la neo-commissaria europea Emma Bonino) ha contribuito notevolmente a spingere il governo italiano a farsi promotore dell'offerta di tenere nel nostro paese nel 1995 una Conferenza ONU dei plenipotenziari degli Stati per definire struttura e compiti di tale organismo. Così alla prossima Assemblea Generale già si potrebbe affrontare una prima decisione in quella direzione, se le resistenze non saranno troppo forti.

Nel caso jugoslavo, infatti, ed ancor più recentemente intorno ai massacri nel Rwanda, lo sdegno internazionale ha messo in moto una convergente volontà politica (che conteneva anche l'imbarazzo per l'evidente impotenza internazionale rispetto a quelle guerre) ed una straordinaria procedura (il Consiglio di Sicurezza che istituiva organi giurisdizionali) ed ha portato in poco tempo all'istituzione di Tribunali internazionali "ad-hoc" per giudicare delle violazioni del diritto umanitario. Ma nessuna molla paragonabile ha funzionato per realizzare la più generale esigenza di sanzionare efficacemente il rispetto del diritto penale internazionale: eppure da 40 anni questa richiesta viene avanzata in molte sedi scientifiche e politiche. In tempi recentissimi quattro autorevoli consessi internazionali hanno avanzato proposte, che hanno rilanciato con competenza e saggezza tale obiettivo: si tratta del Consiglio d'Europa (1992), della Commissione internazionale dei Giuristi (1993), della Commissione di Diritto internazionale dell'ONU (1993) e del Parlamento europeo medesimo (più volte nel corso del 1994).

All'inizio degli anni '80 l'Assemblea generale delle Nazioni unite aveva invitato la Commissione di Diritto internazionale ad elaborare un codice internazionale dei delitti contro la pace e la sicurezza dell'umanità, che tuttavia non è mai arrivato all'approvazione dell'Assemblea. Sulla base di tale mandato, tuttavia, la Commissione ha elaborato - durante la sua sessione dal 3 maggio al 23 luglio 1993 a Ginevra - un progetto di statuto per un Tribunale penale internazionale. Questo progetto è poi passato allo studio del Sixth Committee (Legal Affairs) dell'ONU, e degli Stati membri: era previsto che l'Assemblea generale trattasse la questione nel corso del 1994, e quindi gli Stati dovevano formulare le loro prese di posizione entro la fine di febbraio 1994. Questo calendario si è poi rivelato troppo ottimista, e così a fine novembre 1994 l'Assemblea Generale dell'ONU ha nuovamente invitato gli Stati membri a presentare entro il 15 marzo 1995 le loro osservazioni sulla bozza elaborata dalla Commissione giuridica, ed ha istituito una Commissione ad-hoc, aperta a tutti gli Stati membri e le agenzie internazionali interessate, che esaminerà le conclusioni cui sinora è pervenuta la Commissione giuridica. Già sono state previste due sessioni della Commissione ad-hoc (3-13 aprile e 14-25 agosto 1995), e già è stato iscritto all'ordine provvisorio della prossima Assemblea generale (la 50^) questo punto. Quindi si può ben sperare, pur non sottovalutando affatto le fortissime opposizioni e riserve.

I "Parliamentarians for Global Action", un organismo in genere assai sensibile sui temi del progresso del diritto, in un loro resoconto dei lavori del Sixth Committee rilevano che non sembra esservi ancora un sostegno sufficiente a imporre una decisa scadenza, e che l'opposizione più forte viene dagli USA e da un gruppo di paesi in via di sviluppo assai sensibili alla questione della sovranità nazionale, tra cui la Cina. Ma per ora tali resistenze sembrano concentrarsi più sui tempi di avanzamento che non sulla sostanza dei lavori.

Nei 6 capitoli del progetto di statuto si esaminano distintamente i seguenti aspetti:

- costituzione e composizione del Tribunale (relazione con l'ONU, status, organi, selezione dei giudici, garanzie per essi, funzioni, composizione e funzionamento della procura d'accusa, ecc.); si prevede Tribunale, Procura e Cancelleria (Registry);

- giurisdizione e diritto applicabile; si esaminano diverse possibilità, alcune alternative, altre complementari tra loro: in particolare quello derivato da Trattati che specificano condotte criminose di diritto internazionale, e Trattati che obbligano i legislatori nazionali ad introdurre determinate fattispecie criminali; si ipotizza che i casi possano essere devoluti alla giurisdizione di questo Tribunale sia per espressa decisione dello Stato firmatario dello statuto, sia per devoluzione "ope legis", a norma del Trattato che definisce il crimine; si deve sottolineare una notevole flessibilità nelle previsioni sin qui elaborate;

- svolgimento delle indagini ed apertura del procedimento di accusa;

- espletamento del giudizio;

- appello e revisione;

- cooperazione internazionale ed assistenza giudiziale (rogatorie, consegna di persone e documenti, ecc.)

Resta aperta la questione sino a che punto il Tribunale sia da considerare organo delle Nazioni unite o se debba trovare il suo fondamento giuridico in altro modo, p.es. attraverso l'adesione al suo statuto.

Il Consiglio di sicurezza dell'ONU avrebbe il diritto di sottoporre dei casi alla giurisdizione del Tribunale, ricorrendo ad esso anche come alternativa alla costituzione di tribunali ad-hoc.

In conclusione: non si può ancora dire che ormai la via verso la realizzazione di una giurisdizione penale internazionale sia spianata, ma certamente ormai molte delle condizioni per arrivarci si sono attuate. Ora i governi dovrebbero sentirsi addosso la pressione dei cittadini, per superare le robuste resistenze che ancora ci sono.

da "Mani Tese", luglio 94
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