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L'Europa dei cittadini non si può fare senza l'Est

1.6.1990, Verdeuil
Fin da molto prima dell'imprevedibile ed entusiasmante apertura dei muri e dei fili spinati che avevano diviso l'Europa sino a renderla irriconoscibile, la Comunità Europea aveva esercitato un forte fascino sui popoli dell'Europa centrale e dell'est.

Non era tanto la Comunità realmente esistente, quella dei 12 (o dei 6, dei 9, dei 10... quale via via si presentava), e tanto meno l'Europa del mercato comune o dell'eurocrazia bruxellese ad attirare simpatie e speranze. Piuttosto era ed è l'idea in sè di una unità politica che superi finalmente gli angusti confini della solidarietà e coesione solo "nazionale" e sia pronta ad aprire la cassaforte gelosamente custodita della "sovranità", in favore di ordinamenti e solidarietà sovranazionali. Anche la pratica finora sperimentata - per quanto limitata e parziale - di "unità nella diversità" e di partecipazione democratica che la Comunità europea ha consentito, è sicuramente il processo di integrazione tra diversi più avanzato ed al tempo stesso più rispettoso di tutti i partners che sinora si sia conosciuto nella storia. La domanda di Europa, un vero e proprio bisogno di Europa, appare tuttavia oggi più avvertito nei paesi ex-comunisti che non tra i cittadini della stessa Europa comunitaria. La lunga rimozione di paesi come la Cecoslovacchia, la Polonia o l'Ungheria dal circuito europeo, la preoccupazione dei loro popoli di essere rimasti dimenticati e quasi radiati dalla famiglia dei popoli europei, il forte desiderio di trovare nuovi punti di riferimento, una volta rifiutata la condizione di satelliti di Mosca e senza voler diventare satelliti degli USA, ha alimentato molte speranze ed anche illusioni sull'Europa. E se molti europei occidentali potevano aver cancellato nella loro memoria storica o nel loro senso di appartenenza e di integrità europea città come Praga o Bucarest o Danzica e le lingue slave in blocco, il viceversa non era successo, e per la gente dell'Europa centrale ed orientale la comune eredità culturale e storica era tanto più viva quanto più negletta dalle ideologie ufficiali.

Ora i cittadini di tutta l'Europa si trovano improvvisamente in una situazione simile a quella dei tedeschi dell'est e dell'ovest: caduti i muri, la gente dell'est corre all'abbraccio e trova un po' freddi e spesso assai egoisti ed affaristi i propri fratelli dell'ovest, per tanto tempo solo sognati. E molta gente dell'ovest, che per anni si era riempita la bocca nelle occasioni comandate di paroloni sulla libertà e sulla democrazia, ora si preoccupa quanto ci costerà la ricucitura del continente e la cura della profonda ferita che lo aveva lacerato, e magari si precipita a svaligiare tutti i possibili tesori dell'est - dai terreni alle case, dai libri ai quadri, dalle aziende ai laboratori - finché la disparità economica lo permetterà a basso costo.

Per non parlare del reale pericolo che la generalizzazione degli attuali standards di consumi e dell'attuale ordine economico a tutta l'Europa possa in breve tempo provocare ulteriori e forse irrimediabili danni ambientali ad un continente che difficilmente riuscirebbe a sopportare un livello di motorizzazione o di cementificazione o di consumi idrici o energetici quale oggi i c.d. paesi più avanzati hanno raggiunto.

Attuare in Europa una comune scelta democratica di autolimitazione del proprio impatto ambientale e di contenimento della propria spinta espansionista e sfruttatrice verso il resto del mondo (soprattutto verso il Sud del pianeta) non sarà cosa facile. Ma sarà indispensabile se dopo l'èra dei blocchi tra est ed ovest non si vuole immediatamente entrare nella contrapposizione frontale e ben più profonda tra nord e sud, tra sazi ed affamati, tra chi si può permettere il lusso della democrazia perchè riesce a caricare su altri le spese delle proprie scelte e chi vede nella democrazia solo l'ennesimo raggiro contro i poveri che, pur essendo maggioranza, non vincono mai.

C'è il rischio che nel processo di unificazione europea le cose anche sotto un altro profilo vadano davvero come tra le due Germanie: che i protagonisti delle rivoluzioni popolari e non-violente già poco tempo dopo la vittoria della loro iniziativa non contino più niente, perché la parola torna alle istituzioni, ai politici di professione, ai militari, ai diplomatici.

La spinta dei cittadini d'Europa è stata molto chiara: stessi diritti umani e civili accessibili a tutti, stessa possibilità di autodeterminazione della propria sorte, stesso bisogno di pace, stessa preoccupazione per la natura da salvaguardare, stessa volontà di giustizia e solidarietà sociale. Non può essere lasciato ora solo alle istituzioni politiche o al mercato comune il compito di dare le risposte e di decidere cosa e quanto il convento può passare.

Oggi c'è una gran bisogno e l'inaspettata opporunità di utilizzare appieno gli spazi democratici per costruire dal basso un tessuto comune europeo anche laddove le istituzioni ancora non possono o vogliono arrivare. E' venuto il momento di darsi strutture di cooperazione pan-europea, e non solo dei 12 membri della Comunità, e di sviluppare una pratica di appartenenza europea comune. Ci proveranno dal 19 al 21 ottobre a Praga numerose associazioni e gruppi dell'area ecologista, pacifista e dell'impegno per i diritti umani, nella prima "assemblea dei cittadini degli stati firmatari degli accordi di Helsinki", sotto gli auspici del presidente-cittadino Vaclav Havel, per elaborare i propri stimoli rivolti alla "Conferenza Helsinki II" sulla sicurezza e cooperazione in Europa che si aprirà a Parigi un mese dopo. Ma l'aspettativa dall'est è enorme e si rivolge in tutte le direzioni: verso gli ambientalisti, verso le organizzazioni sindacali, verso le associazioni di scrittori ed artisti, verso il variegato mondo dell'economia alternativa... Se oggi le esperienze e strutture della società civile che esistono, numerose ed articolate, nell'Europa occidentale, non sapranno rispondere alla domanda di inter-azione e di cooperazione che viene dalla gente dell'est affamata di democrazia e di spazi non egemonizzati dallo Stato, si perderebbe un'occasione storica forse irripetibile e si lascerebbe molto amaro in molte bocche.

Chi oggi pratica una dimensione civile ed europea nel proprio impegno organizzato, non ha più diritto di escludere l'Europa ex-comunista dal suo orizzonte. Chi perpetuasse, nei suoi schemi, i vecchi confini di blocco, finirebbe, oltretutto, per avere una visione del tutto strabica dell'Europa.
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