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Cipro: il paese dove non sono ancora caduti i muri

1.9.1990, L'Espresso
C'è un paese nel quale la vicenda del Golfo viene seguita con un'apprensione tutta particolare: "ma perchè l'ONU solo con l'Irak ha saputo imporre il rispetto delle sue risoluzioni con fermezza? forse bisogna avere giacimenti di petrolio per essere protetti dal diritto internazionale?"

Siamo a Cipro, ed è un argomento che tutti sfoderano, dal presidente del Parlamento, il vivace ed originale socialista Vassos Lyssarides, all'interlocutore casuale al kaphenion o in taxi. "Come pretendere che proprio la Turchia faccia il gendarme dell'ONU, quando non pensa nemmeno lontanamente di rispettare le risoluzioni che la concernono e che chiaramente stabiliscono che Cipro torni unita ed indipendente?"
In effetti lo stallo sull'isola natia di Venere dura ormai da parecchio, i colloqui tra le due etnie sono insabbiati, ed il filo spinato che divide l'isola continua a sopravvivere alla caduta del muro di Berlino. La gente di Nicosia, capitale divisa, non può comunicare da una parte all'altra della città, e di notte si avvertono di tanto in tanto delle sparatorie lungo la c.d."linea verde" che in tutta l'isola demarca l'espansione raggiunta dai turchi con la loro "operazione Attila" nell'estate del 1974, quando in risposta ad un golpe della destra greco-cipriota contro Makarios occuparono circa il 38% del territorio di uno stato che da allora si è praticamente rotto in due.
Il caso più incredibile riguarda la città di Famagosta, antica roccaforte veneziana e città splendente per molti secoli, dal tempo delle crociate in poi. Oggi Varosha - così si chiama la sua parte nuova, abitata dai greco-ciprioti fino al 1974 - è una città-fantasma, forse l'unica al mondo: case, negozi ed uffici che accoglievano 40.000 persone, sono rimasti vuoti e saccheggiati. Ma la città è lì, alla vista dei suoi vecchi abitanti fuggiti dai turchi. Possono avvicinarsi solo fino a circa 5 km, poi vegnono fermati dai soldati austriaci e finlandesi dell'ONU che fungono da forza di interposizione. Ma se i turchi non hanno avuto grandi riguardi per il resto dell'isola sotto il loro dominio, come testimoniano le chiese incendiate, i cimiteri divelti e le icone e statue saccheggiate, non hanno tuttavia osato, finora, violare il divieto dell'ONU di ripopolare Varosha. Il Consiglio di sicruezza ripetutamente - ed in ultimo nel 1984 - aveva sancito che unici legittimati a tornare a Varosha sarebbero stati i suoi ex-abitanti, sotto il controllo delle Nazioni Unite. Così finora i coloni turchi che sono stati fatti affluire in tanti (circa 60-70.000, cui si devono aggiungere circa 30.000 militari), non si sono visti assegnare i vuoti palazzi di cemento, le officine, gli alberghi e le piccole casette di Varosha. I turchi, ben consapevoli che il loro stato-fantoccio col "presidente" Denktash nel nord non può sperare in alcun riconoscimento internazionale, vorrebbero spendere eventuali concessioni su Varosha in cambio di un assenso greco-cipriota ad una divisione permanente dell'isola, con al massimo un legame vagamente confederale tra le due parti di Cipro. "Dobbiamo difenderci, per 11 anni, dal 1963 al 1974, abbiamo sofferto da minoranza indifesa i soprusi della maggioranza greca, per noi l'armata turca è stata di liberazione", sostiene Raouf Denktash con foga, prendendosela con chi "presta unilaterale ascolto alle lamentele greco-cipriote".
Pochi posti al mondo hanno ricevuto dalle Nazioni Unite una così costante e, tutto sommato, così poco efficace attenzione quale l'"isola del rame". Fin dai tempi dell'indipendenza (1959, con l'arcivescovo Makarios) e dai primi contrasti greco-turchi negli anni '60, l'ONU si è occupata spesso della pace su quell'isola strategica. Quando i colonnelli greci nel 1974 pensarono di poter forzare la situazione in loro favore, verso l'agognata "enosis" di Cipro con la Grecia, salvo poi fallire clamorosamente e rimetterci il potere anche in patria, la divisione etnica e religiosa degli abitanti dell'isola è diventata persino fisica e territoriale: tutti i turchi al nord (ca.120.000), tutti i greci al sud (ca.450.000), con violenze e soprusi di ogni genere, e le truppe dell'ONU inviate a fermare l'avanzata turca e gli scontri tra le due parti.
Ed in un mondo in cui la ferita tra Est ed Ovest si sta risanando, un
altro e più profondo conflitto tra Occidente ed Oriente (Cristianesimo ed Islam, ellenismo e mondo asiatico) non riesce a rimarginarsi. "Non potete lasciarci sommergere dall'Islam", supplica l'abate Dionysos di Chrysoroiatissa. E con paura si osservano le prossime manovre turche, già annunciate: l'unione monetaria tra lo "stato" del nord con la Turchia, l'arrivo di nuovi coloni e forse presto una visita del presidente Özal a Cipro.
Forse dove l'ONU sembra impotente, ora l'Europa comunitaria potrà mettere le cose in moto: Cipro ha approfittato della presidenza italiana per chiedere l'adesione alla C.E., e difficilmente la Turchia - altro interlocutore privilegiato della Comunità - potrà continuare a mostrarsi sorda, se vorrà incontrare il favore dell'Europa dei 12. De Michelis ha promesso pochi giorni fa "di voler mandare avanti la pratica". I ciprioti hanno fretta: "forse Saddam Hussein e Bush perderanno entrambi, nel Golfo, ma chi ci guadagna sicuramente è la Turchia: anche dopo il tramonto della minaccia sovietica, riemerge come alleata preziosa ed insostituibile dell'Occidente." E si augurano che l'Europa diventi il loro nuovo ombrello.

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