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GABRIELE BORTOLOZZO - I SEI AUTOCLAVISTI

1.5.2003, da UNA CITTÀ n. 113 / Maggio/Giugno 2003
Gabriele Bortolozzo, entrato in fabbrica nel ’56 e rimastoci fino al 1990, è morto travolto da un camion mentre correva in bicicletta sul Terraglio nel settembre del 1995, a sessantun anni.
Negli ultimi anni aveva raccolto le storie dei sei autoclavisti che nel 1956 avevano avviato l’impianto di polimerizzazione in emulsione del cvm, reparto cv6. Già al tempo in cui scrisse queste memorie, solo due, tra cui lo stesso Gabriele, erano ancora vivi.

Nando P.*
Nando P. nasce a Malcontenta-Venezia il 4/5/1934 ed entra al Petrolchimico di Porto Marghera il 24/2/1956 al reparto cv6, addetto alle autoclavi, compreso ingresso in cavità lavori all’insacco resina pvc.
Nel 1974 comincia ad accusare disfunzione e ridotta attività sessuale (è lui che ritagliò da un quotidiano e appiccicò alla bacheca del cv6 la notizia proveniente dalla Germania che lavoratori di un’industria produttrice di pvc si erano rivolti alle strutture mediche e alla magistratura per gravi sintomi di deficienza nell’attività sessuale e che ho conservato e riportato nel dossier apparso nel n.92/93 di Medicina Democratica).
Nel 1975 partecipa all’indagine epidemiologica da parte di Medicina del lavoro dell’università di Padova; gli viene riscontrata una disfunzione epatica la cui genesi è da collegarsi all’esposizione al cvm, con il solito invito: “Opportuna la non esposizione al cloruro di vinile”. Nel 1978 Nando viene colpito sul luogo di lavoro da angina instabile; inviato all’infermeria di fabbrica viene subito ricoverato d’urgenza all’ospedale dal quale esce con disturbi cardiaci.
E’ in continua cura e osservazione: “non passa sangue da una coronaria” afferma.
Continuano intanto a peggiorare le disfunzioni sessuali fino a precludergli del tutto la possibilità di avere rapporti con la moglie per mancanza di erezione.
Nando è stato collocato in cassa integrazione concordata nel 1985 ed è in pensione dal 1989.

Gabriele Bortolozzo
Gabriele Bortolozzo nasce a Campalto-Venezia il 29/9/1934 e, dopo aver partecipato al primo corso per operai chimici indetto dalla Sicedison nel 1955, entra al Petrolchimico il 16/1/1956, al reparto cv6, impianto di polimerizzazione in emulsione del cvm, come autoclavista, con ingresso in cavità, e saltuari lavori all’essiccamento ed insaccamento resina pvc.
Viene colpito dal morbo di Raynaud poco dopo essere entrato in fabbrica, nel 1957 e viene curato con iniezioni di vasodilatatori, ma senza alcun risultato positivo.
Nel 1975 partecipa all’indagine epidemiologica e non gli viene riscontrata alcuna patologia; le “conclusioni diagnostiche” sono: “Non rilevati segni di patologia in atto” (unico caso su centotrenta addetti del reparto cv6).
Nel 1987 viene collocato in cassa integrazione concordata e va in pensione nel 1990.
Come noto, il primo disturbo provocato dall’esposizione al cvm è il morbo di Raynaud che, soprattutto in quel periodo, in cui si viveva in un ambiente privo di confort (mancanza di riscaldamento e acqua calda nelle abitazioni, percorso in bici da casa al lavoro e viceversa, ambiente di fabbrica freddo), comportava notevoli disagi e disturbi fisici (mani fredde per gran parte della giornata, esangui, bianche, fino alla completa insensibilità al tatto). Solo il vivere moderno (case riscaldate, i mezzi di trasporto pubblici), ne limita i disagi e i disturbi. Sono decine i lavoratori del pvc che si portano dietro il morbo di Raynaud, che è incurabile, dal momento che non si conosce nessuno che ne sia guarito. (Quindici anni fa un lavoratore dei cv si recò da un medico di Roma che curava il morbo di Raynaud “inducendo” i principi della malaria, con miglioramenti, ma non un rimedio totale - Ora, aprile 1995, a quanto sembra, come affermato dal dr. Maurizio Bruschi dell’Uls 9 di Treviso, c’è una nuova cura a base di agopuntura, o giù di li, che ha notevoli effetti di guarigione).
Da ricordare che nei casi più gravi il morbo di Raynaud, oltre alle mani bianche, comporta l’ingrossamento abnorme dei polpastrelli delle dita. Nonostante vari tentativi non gli è stato riconosciuto il morbo di Raynaud, del quale ne porta tuttora le conseguenze.
L’ultimo tentativo di riconoscimento è dell’aprile 1995, con inoltro all’lnail di un certificato medico di malattia professionale emesso dalla dr.ssa Alessandri di Medicina del lavoro di Marghera - Spisal Uls 12; diagnosi: “Sindrome di Raynaud in ex esposto a cvm” (dopo 38 anni che si porta dietro gli effetti deleteri!!??). Gabriele Bortolozzo abita a Mogliano Veneto.

Al Petrolchimico di Porto Marghera, nel 1956, alla messa in marcia del reparto cv6, impianto di polimerizzazione in emulsione del cloruro di vinile monomero (cvm), c’erano sei operatori autoclavisti. Ecco la storia di quattro di loro, deceduti, come da certificazioni mediche, di tumore in conseguenza dell’esposizione al cvm.
Paolo C.
Paolo C. nasce in provincia di Frosinone, il 24/11/1916. Partecipa alla seconda guerra mondiale come marinaio. Per sette mesi viene imbarcato nel naviglio che fa da scorta al trasporto marittimo tra l’Italia e la Libia. Durante la vita militare viene colpito da broncopolmonite. Si sposa con una veneziana nel 1942, che gli dà sei figli. Nel 1954-’55 frequenta un corso per operai chimici indetto dalla Sicedison, alla fine del quale entra al Petrolchimico, reparto cv6, partecipando alla sua messa in marcia nel febbraio del 1956. Del manipolo di sei operai autoclavisti del cv6 è l’unico anziano. Oltre alla conduzione dell’autoclave deve entrare all’interno della stessa per la pulizia delle croste di polivinilcloruro (pvc), in un ambiente saturo di cvm. Viene adibito anche in lavori di conduzione dell’impianto essiccamento e insacco di pvc.
Per dodici anni viene esposto al cvm, sempre come turnista nel reparto cv6.
Sia per l’età che per le precarie condizioni di salute, viene spostato in un lavoro di fattorino.
Negli anni Settanta gli muoiono due figli: una bambina di dodici anni di leucemia e un figlio di quattordici anni di polmonite.
Comincia a soffrire i primi disturbi epatici, con abnorme gonfiore addominale nel 1973; accusa anche un principio di pneumoconiosi.
Come ex addetto al cvm, partecipa all’indagine epidemiologica del 1975, promossa dalla Fulc (Federazione unitaria lavoratori chimici) e svolta dall’università di Padova - Medicina del lavoro; le “conclusioni diagnostiche” sono: “Epatopatia cronica nella cui genesi ha giocato un ruolo importante la esposizione a cloruro di vinile. Radiografia del torace: accentuazione della trama broncovasale. Opportuno evitare la esposizione a cloruro di vinile”.
Fino a poco prima mai si sarebbe immaginato che i suoi disturbi epatici fossero dovuti dalla sostanza chimica lavorata.
Nel 1976 viene collocato in pensione.
Nel 1977 viene ricoverato al Cto di Padova e le conclusioni dell’esame laparoscopico sono: “Cirrosi epatica (post-necrotica e nodulare) in fase ascitica”. Viene dimesso dopo una biopsia epatica e lo stesso Istituto di medicina del lavoro - Università di Padova - gli rilascia una dichiarazione da trasmettere all’lnail, dalla quale si evince: “Il paziente è portatore di epatopatia cronica cirrogena scompensata, nella cui eziologia è da attribuire un contributo determinante al cvm. E’ inoltre presente ipertensione portale. Esiste il sospetto radiologico di varici esofagee. Il paziente andrà controllato anche dal punto di vista della coagulazione, presentando una discreta alterazione dell’attività protrombinica. E’ presente inoltre ematuria importante associata talora a leucocituria”.
Gli riscontrano la presenza di sangue nelle feci.
C’è un referto istologico, a seguito di biopsia epatica, dello stesso ospedale e dello stesso periodo, con la seguente diagnosi: “Cirrosi epatica tipo Morgagni Laennec con fenomeni di periepatite cronica”. Viene dimesso con la seguente diagnosi: “Cirrosi epatica in soggetto con pregressa cospicua esposizione a cloruro di vinile monomero, cui nella patogenesi dell’epatopatia va riconosciuto un ruolo importante”.
Nonostante l’evidenza dei fatti, delle diagnosi, delle dichiarazioni dei medici, questa la risposta dell’lnail di Venezia in data 12/7/1977: “Si comunica che la pratica aperta a Suo nome per l’infortunio del 23/6/1977 viene definita negativamente per i seguenti motivi: trascorso periodo massimo da quando ha abbandonato la lavorazione morbigena. Nessun onere, pertanto, potrà far carico a questo Istituto”. Sfiduciato, Paolo, e i familiari poi, non si rivolgono alla magistratura.
Paolo C. subisce altri ricoveri all’ospedale civile di Mestre e al policlinico San Marco della stessa città.
La disfunzione epatica peggiora e Paolo C. muore nel 1984, a 67 anni.
Sua moglie afferma: “Da quando cominciò a lavorare al Petrolchimico soffrì sempre di disturbi; non stava mai bene; si vide subito che il cvm lo logorava; il cvm lo aveva ‘inquinato’ fin dall’inizio; il male cominciò a ‘lavorare’ già da allora. Non ce la faceva più, aveva tanto male! Si vedeva che soffriva; gli mancavano le forze. Lo stesso, era sempre contento, andava al lavoro cantando. Era un tipo semplice. Non parlava mai del lavoro in fabbrica”.

Saverio P.
Saverio P. nasce a Mestre il 20/7/1928. Entra al Petrolchimico Montedison di Porto Marghera nel 1955, al reparto cv6, con l’impianto ancora in fase di costruzione. Nel febbraio del 1956 al cv6 inizia la produzione del pvc in emulsione e Saverio P. viene addetto alla conduzione dell’impianto autoclavi, che prevede anche l’ingresso in cavità per la pulizia del reattore; inoltre, per mancanza di personale, viene addetto all’essiccamento e insacco di resina pvc.
Saverio è un uomo forte, pieno di vitalità, alto un metro e novanta, gran altruista; è il classico “scarpe grosse e cervello fine”; risolve problemi di conduzione impiantistica dove gli altri non riescono; ha capacità lavorative innate, sorrette da tanta volontà; nel lavoro non si tira mai indietro, dà tutto se stesso e, alla fine, ci lascia anche la vita.
Nel 1975 Saverio P. partecipa all’indagine epidemiologica e Medicina del lavoro dell’università di Padova gli rilascia le seguenti conclusioni diagnostiche: “Alterazione della funzionalità epatica di grado medio nella cui genesi ha giocato un ruolo importante la esposizione a cloruro di vinile. Lieve piastrinopenia. Presenza di fenomeno di Raynaud. Segni di microangiopatia periferica riferibile alla esposizione a cloruro di vinile. Radiografia del torace: accentuazione della trama broncovasale. Opportuno evitare la esposizione a cloruro di vinile”. Sono le peggiori “conclusioni diagnostiche” che si conoscano tra gli addetti degli impianti di polimerizzazione del cvm.
Nessuno prende in considerazione il consiglio dei medici. Quelle “conclusioni diagnostiche” non possono che considerarsi un atto d’accusa nei confronti dell’azienda, del sindacato e di Medicina del lavoro di Marghera.
I lavoratori hanno sempre evitato di chiedere lo spostamento in un diverso luogo di lavoro: poteva capitare di perdere la consistente indennità di turno. Per contratto l’indennità in turno veniva conservata solo quando a decidere il passaggio a giornaliero era l’azienda e poteva venir tolta quando la richiesta proveniva dal lavoratore.
Il 28/9/1977 a Saverio viene riconosciuta la malattia professionale da cvm con una rendita del 5%, che l’Inail, dal 1978, rivaluta al 25%.
Dal 1978 è soggetto a ripetuti ricoveri ospedalieri (Venezia, Padova, Mestre, Treviso) per epatopatia cronica in soggetto con esposizione a cvm.
Ricoverato all’Istituto di Medicina del lavoro di Padova dal 12/4 al 19/4/1983 viene dimesso con la diagnosi di: “Epatomegalia; Sindrome di Raynaud e piastrinopenia indicativi di intossicazione da cloruro di vinile monomero”.
Intanto Saverio P. continua a lavorare al cv6, venendo esposto al cvm seppure in forma ridotta, fino a quando va in pensione, alla fine del 1983.
Nel 1987 inizia degli esami clinici con un day-hospital, che non vengono mai completati per carenze mediche (“mancava sempre un dottore”, afferma la moglie). Non si sente bene; viene colpito da depressione; gli sembra di sentire l’avvicinarsi della fine. Sa di dover stare continuamente sotto controllo, di stare in regola con la vita, ma il declino fisico è repentino.
Viene colpito da un’influenza: gli dicono che quando un soggetto è debilitato la prima manifestazione del male inizia con un’influenza. E’ un uomo mite e gli secca anche solo chiedere un favore. Dal 1/8/1988 il riconoscimento di malattia professionale gli viene portato al 50%, per “cirrosi epatica scompensata da cloruro di vinile monomero”.
A seguito della diagnosi, la sede dell’Inail di Venezia gli rilascia un certificato di pensione come “Titolare di Rendita per epatopatia da cloruro di vinile”. Durante il ricovero all’Istituto di Medicina del Lavoro di Padova -Cto-, in data 10/9/1988, per “accertamenti in paziente affetto da epatopatia da cloruro di vinile”, il medico curante registra nella cartella clinica: “I rilievi patologici erano stati evidenziati durante l’indagine cvm svolta dal nostro Istituto” (indagine epidemiologica del 1975).
Dopo continui ricoveri, che erano iniziati il 2 maggio 1988, Saverio P. muore l’1/10/1988. La vedova afferma: “Per dire come distrugge ‘sta cosa’... Nell’ultima settimana venne ricoverato all’ospedale di Mestre, si guardò allo specchio e disse: ‘Non mi riconosco più’. L’aveva distrutto il tumore. La pancia era gonfia in modo impressionante. Il primario dell’ospedale di Treviso mi aveva detto di non aver mai visto prima un fegato cosi mal ridotto”.

Giovanni Z.
Giovanni Z., figlio di un giornalista del quotidiano il Gazzettino, nasce a Venezia il 31 novembre 1934. Dopo aver frequentato per alcuni anni l’Itis Pacinotti, entra al Petrolchimico di Porto Marghera all’inizio del 1956, reparto cv6. Viene addetto alle autoclavi e quindi costretto ad entrare nei reattori per la loro pulizia; inoltre, per mancanza di personale, a volte deve operare anche all’essiccamento e all’insaccamento resina pvc.
Nel 1971 passa al reparto cv24, un nuovo e moderno impianto di polimerizzazione in sospensione del cvm, che va a sostituire il cv3, tecnicamente sorpassato.
Nel 1975 partecipa all’indagine epidemiologica e l’Istituto di medicina del lavoro dell’università di Padova gli rilascia le seguenti “conclusioni diagnostiche”: “Alterazione della funzionalità epatica di grado medio nella cui diagnosi ha giocato un ruolo importante la esposizione a cloruro di vinile. Opportuno evitare la esposizione a cloruro di vinile”.
All’esplicito invito di allontanamento da una fonte di nocività pericolosa, per evitare di compromettere ulteriormente la salute del lavoratore, tutti rimangono impassibili: i sindacalisti che avevano promosso l’indagine epidemiologica, il servizio medico di fabbrica, Medicina del lavoro di Marghera, i dirigenti del Petrolchimico, capi e tecnici del reparto. Tutti sanno a quale pericolo vanno incontro i lavoratori, ancor più quelli che hanno la salute già compromessa per esposizione a cvm e pvc, ma nessuno si muove.
Quelle “conclusioni diagnostiche” sono diventate delle vere e proprie “condanne a morte”.
Nel maggio del 1990 il male si manifesta in tutta la sua gravità, improvvisamente, senza alcun segnale premonitore; c’è solo, da parte dei colleghi di lavoro, la constatazione di un accentuarsi impressionante del pallore cutaneo. Nella sua abitazione di Mestre, Giovanni Z. viene colpito da malore e trasferito all’ospedale.
Un’equipe medica, diretta dal dr. Gracco, esegue un urgente intervento chirurgico, il cui esito viene cosi descritto: “Aperto il peritoneo fuoriesce un’enorme quantità di sangue (circa sei litri). Si esplora il fegato che a livello di colletto colecistico presenta mediamente un orifizio di circa 4 cm di diametro dal quale fuoriesce abbondante sangue. Si clampa il peduncolo epatico. Si penetra con l’indice della mano destra nell’orifizio epatico evidenziando una grossa cavità della dimensione di oltre 10 cm ripiena di coaguli. La colecisti appare staccata dal suo letto. Si procede pertanto a colecistectomia secondo la tecnica della scuola. Prima di procedere all’ampia apertura della cavità epatica che interessa il IV-V-VI segmento si aggiunge alla laparotomia mediana una toracotomia a destra che permette un’ampia esposizione di tutto il lobo destro del fegato. Si apre ampiamente la cavità epatica asportando i numerosi coaguli ed ispezionando l’area del sanguinamento che proviene da tutta l’ampia cavità (sede di verosimile angioma). Previa incisione della glissoniana sulla cupola e sul margine inferiore rasente la parete mediana della cavità, si procede a resezione di parte del IV-V-VI segmento, utilizzando la tecnica della digitoclassia. La legatura dei vasi e dei dotti biliari viene eseguita in materiale a lento riassorbimento. (omissis)”. “A questo punto si esplorano i restanti organi endoaddominali senza riscontrare alcunché di patologico. Il lobo sinistro del fegato presenta in superficie alcuni piccoli angiomi. Nulla a carico dello stomaco e del duodeno. Pancreas e milza indenni. Negativa l’esplorazione della matassa digiuno-ileo-colica. Logge renali indenni. Modeste note di sclerosi aorto-iliaca. (omissis) “.
Giovanni Z. muore il 23 maggio 1990, a 55 anni. Sarebbe dovuto andare in pensione dopo pochi giorni. La diagnosi anatomo-patologica della cartella necroscopica registra: “Estesa emorragia intraepatica in soggetto portatore di angiosarcoma epatico, recentemente sottoposto a resezione parziale dello stesso”.
Dopo la morte di Giovanni i medici dell’ospedale di Mestre si limitano a delle rimostranze nei confronti di alcuni dirigenti del Petrolchimico per il fatto che il servizio medico dell’azienda non aveva riscontrato, nonostante i routinari controlli, alcunché di irregolare nelle condizioni epatiche del lavoratore.
C’è da porsi una domanda: perché i medici dell’ospedale di Mestre, e il Cto di Padova, nonostante i numerosi casi di angiosarcoma tra gli addetti al cvm di Porto Marghera, non hanno informato le autorità sanitarie?
Sulla situazione ambientale del reparto cv24, nel mese di aprile 1995 Natalino C., compagno di lavoro di Giovanni Z., testimonia al magistrato F. Casson che fino ad agosto 1994, quando è andato in pensione, al cv24 è continuata una diffusa presenza di gas cvm proveniente da corrosioni, rotture, una situazione aggravata dalla mancanza di manutenzione ed obsolenza dell’impianto.
Il 12/4/1995 è saltata fuori la notizia, riportata dai giornali locali, che nel 1990 il patronato Acli di Mestre aveva inviato un esposto alla procura della repubblica di Venezia riguardante la morte di Giovanni Z. per accertare la relazione tra malattia e lavorazione del cvm.
Dopo l’indagine il sostituto procuratore Bianca Maria Cotronei aveva fatto richiesta di archiviazione ma il gip Michele Maturi non ha accettato, anzi, ha deciso di inviare gli atti alla procura della repubblica, cioè a Felice Casson.

Pino G.
Pino G. nasce a Chioggia il 29 aprile 1932. Entra al Petrolchimico Montedison di Porto Marghera nel 1954 e per due anni lavora al cv5, impianto di produzione del granulo in pvc.
All’inizio del 1956 passa nel nuovo reparto cv6, addetto alle autoclavi, dove avviene la polimerizzazione in emulsione del cvm. Quasi ogni giorno deve entrare nelle autoclavi per la pulizia delle pareti ricoperte di croste e blocchi di pvc, contenenti, inglobato, il cvm. Come vengono rimosse le croste di pvc sprigionano forti quantità di cvm.
Fino al 1960 Pino G. è permanentemente esposto ad altissime concentrazioni della sostanza cancerogena, anche a migliaia di ppm. Nello stesso anno passa al laboratorio ricerche, venendo esposto al mep (metil-etil-piridina) e al mvp (metil-vinil-piridina) e a gas nitrosi. Dopo due anni, nel 1962, passa nel reparto di polimerizzazione del nylon.
Nel 1971, e fino alla collocazione pensionistica, lavora nel magazzino di vedril (plexiglass).
Nel 1975 partecipa all’indagine epidemiologica che comprende anche gli ex esposti al cvm e queste sono le “conclusioni diagnostiche”: “Epatopatia cronica nella cui genesi ha giocato un ruolo importante la esposizione a cloruro di vinile. Lieve piastrinopenia.
Radiografia del torace: accentuazione della trama broncovasale. Riduzione significativa dei valori polmonari. Opportuno evitare la esposizione a cloruro di vinile”.
Nello stesso periodo comincia ad avvertire formicolii agli arti inferiori e formicolii e ipertesia alla mano sinistra.
Nel marzo del 1981 al Cto di Padova viene ricoverato per “broncopatia da cloruro di vinile” e ne esce con una “diagnosi di modeste alterazioni della funzionalità epatica nella cui patogenesi ha giocato un ruolo l’esposizione professionale al cvm. Broncopatia ostruttiva”.
Rilevata la patologia epatica cronica, nell’ottobre del 1982 all’ospedale di Venezia subisce un intervento chirurgico di “colecistectomia in colecistite calcolotica in epatocirrosi”. Il chirurgo, dopo l’operazione, per i danni riscontrati al fegato, afferma che è in corso una cirrosi e, sicuro di quello che afferma, chiede ai familiari se il paziente è un alcolizzato!
Che fossero astemi o modesti bevitori era una litania continua quella dei sanitari nel battere il tasto dell’alcool per gli addetti al cvm che accusavano disturbi o venivano operati al fegato, sia per quelli di Porto Marghera che degli altri centri industriali italiani di produzione e lavorazione del cvm.
Nel 1983 ha due ricoveri in day-hospital all’ospedale di Mestre per “epatocirrosi”.
Ad un controllo della funzionalità respiratoria gli viene riscontrato un “deficit ventilatorio ostruttivo di alto grado”.
Dal luglio 1990 inizia una serie infinita di ricoveri, negli ospedali di Dolo e Mestre, per broncopatia cronica ostruttiva, epatopatia cronica con esofagite e gastrite cronica; durante questi ricoveri viene “evidenziata una lesione ipocogena”; nei successivi controlli viene confermato “come la lesione iniziale fosse ascrivibile a carcinoma primitivo del fegato”
Dopo una denuncia inoltrata nel 1986, in data 5/7/1991 c’è una sentenza del pretore di Venezia il quale riconosce a Pino G. una invalidità per patologia da lavoro con una valutazione complessiva pari al 50%, e “condanna l’Inail a erogare una rendita adeguata”.
Nella sentenza si legge: “Secondo quanto accertato dal Ctu (consulente tecnico d’ufficio) dott. Giovanbattista Bartolucci, I’esposizione a cvm in dosi cospicue anche se per una relativa breve durata (quali sono le dosi che poteva inalare il ricorrente quale addetto alla pulizia manuale delle incrostazioni all’interno dell’autoclave) giustifica la patologia epatica della quale è risultato affetto il ricorrente e che fin dal 1976 gli era stata diagnosticata”. Inoltre: “L’insufficienza epatica determina a giudizio del Ctu un danno quantificabile nel 20%, ma deve contestualmente considerarsi l’ulteriore danno conseguente a un enfisema ostruttivo di notevole entità (35%), per il quale a giudizio dell’altro Ctu, specializzato in pneumologia, è convincente il rapporto causale con l’esposizione a cvm cosi come a polveri di pvc”.
Nell’aprile 1993 si manifestano “i segni dell’insufficienza epatica, legati ovviamente al progressivo peggioramento della funzionalità epatica ed enfatizzati dalla presenza del tumore”. I ricoveri si susseguono per “cirrosi scompensata”.
Pino G. muore il 13 agosto 1993. Come da dichiarazione del dr. Maurizio D’Aquino, responsabile servizio di malattie epatobiliari dell’ospedale di Mestre, “il carcinoma primitivo del fegato è legato alla presenza della cirrosi”, “certamente la situazione che ha condotto a morte il sig. G. P. è da riportarsi alla presenza della cirrosi”.

La figlia di Pino G., Mara, dichiara: “Parlava sempre in casa dei disturbi e dal 1982 ha cominciato a capirne i motivi. Diceva sempre: ‘lo mi sto ammalando a causa della fabbrica’. Non sapeva dei tanti casi di morte da cvm. Era orgoglioso e stette male quando gli dissero che aveva un fegato da alcoolizzato, lui che era quasi astemio. Dopo l’operazione al fegato ha cominciato ad accusare tanti altri disturbi e nel 1992 c’è stato il tracollo psico-fisico. Migliorò la broncopatia ma peggiorò l’epatopatia. Per difficoltà respiratorie venne ricoverato e il medico al quale mi rivolsi mi rispose brutalmente: ‘Cosa vuole che le dica? Deve morire’. Mio padre si rendeva conto del male che l’aveva colpito, sapeva... Si è affidato per otto anni agli avvocati, anche dopo il riconoscimento di malattia professionale del 1991. Alla fine non respirava più, usava la bomboletta dell’ossigeno. In famiglia siamo rimasti sgomenti quando siamo venuti a sapere dei tanti morti tra gli addetti al cvm. Mio padre avrebbe dovuto sapere della mortalità tra gli ex colleghi di lavoro. Se sapeva di tanti morti perché non parlava, non diceva?! Non riesco a capire, erano colleghi d’ufficio?!“.

NOTE
* A tutela della privacy degli interessati, i nomi e alcuni particolari della storia sono stati modificati.



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