Premio Internazionale Premio Internazionale Premio 1997 Algeria

Libro Premi Langer alla CAmera Excursus Premi Langer dal 1997 al 2023 Anna Bravo: il filo rosso dei Premi I premi 1997-2018 Premio 1997 Algeria
motivazione
Premio 1998 Ruanda Premio 1999 Cina Premio 2000 Kosovo-Serbia Premio 2003 Italia Premio 2004 Polonia Premio 2001 Israel-Palest. Premio 2002 Ecuador Premio 2005 Bosnia Erzegovina Premio 2007 Sudafrica Premio 2006 Indonesia Premio 2008: Somalia premio 2009: Iran premio 2010 Fondazione Stava premio 2011 Haiti premio 2012 Tunisia premio 2013 - Donatori di musica Premio 2014 Borderline Sicilia Premio 2015 - Adopt, Srebrenica premio 2017 - Angalià - Asgi premio 2018 - Istituto Arava
premi Langer 1997- 2011 (18) Premio 2004 (2) Premio 2005 (13) Premio 2006 (8) Premio 2007 (15) premio 2008 (18) premio 2008 -II (18) premio 2009 (36) premio 2010 (6) premio 2011 - haiti (36) premio 2012 - Tunisia (26) premio 2013 - Donatori di musica (15)

Discorso di Khalida Messaoudi in occasione dell'assegnazione del primo Premio internazionale Alexander Langer (Fiera delle Utopie Concrete, Città di Castello, Perugia, 19 ottobre 1997)1

19.10.1997, Fiera delle utopie concrete

Signor sindaco di Città di Castello, signor sindaco di Tuzla, cari amici dell'associazione Pro Europa, cari amici qui presenti, italiani bosniaci e di altre nazionalità: un caro saluto a voi tutti. E permettetemi di salutare anche le mie sorelle e i miei fratelli algerini. Ringrazio infinitamente l'associazione Pro Europa2 per avermi conferito il premio Alexander Langer, ringrazio il Comitato di garanzia3 per aver accettato all'unanimità di conferirmelo e per aver affidato la laudatio al sindaco di Tuzla (Selim Beslagic, Ndr), perché come algerina e come erede della cultura del mio paese, ho un'immensa ammirazione per il sindaco di Tuzla: perché il sindaco di Tuzla, quando la Bosnia soffriva, non la ha abbandonata. E il suo esempio permette a me, ma anche a tutte le donne democratiche e a tutti gli uomini democratici nel mio paese: ci permette di andare avanti e di dirci che abbiamo ragione, che non siamo dei folli e che se amare il proprio paese, amare il proprio popolo e volere la democrazia e la libertà per il proprio paese è una pazzia, allora sì, siamo pazzi, se essere pazzi significa essere come Selim allora sì, sono anch'io una pazza. Tengo a sottolineare la fortuna che mi è concessa di poter beneficiare del percorso e della lotta di Alexander Langer. Lo dico a nome mio e a nome di tutte le donne e di tutti gli uomini che si battono nel mio paese per la libertà e per la democrazia, lo dico alla sua compagna, lo dico al suo popolo: grazie Alexander Langer di essere esistito, anche per noi algerini.

Tengo a dirvi la verità, perché nelle situazioni estreme come quella che vive il mio paese, la verità diventa la cosa più importante: la verità è che l'associazione Pro Europa e il Comitato di garanzia si assumono un rischio incredibile conferendo un premio a Khalida Messaoudi. Non parlo del rischio di morte, non parlo del rischio di essere imprigionati: ma c'è un altro rischio intorno all'Algeria, il rischio che si trova al cuore della guerra delle parole. Le parole portano una responsabilità, le parole possono uccidere, simbolicamente ma possono uccidere. Quello che fa male a noi algerini, non è che non si parli di noi, no: ciò che ci fa male è essere disprezzati, e cos'è il disprezzo se non prendere un popolo e inventargli una realtà tramite le parole? Quando leggiamo sui giornali stranieri o guardiamo alle televisioni straniere degli schemi semplificatori applicati all'Algeria: è questo che ci fa male. E perché dico che l'associazione Pro Europa e il Comitato di garanzia si assumono un rischio? Perché esiste uno schema, molto diffuso, che spiega che in Algeria da una parte c'è il potere militare e dall'altra ci sono gli islamisti: e il popolo algerino è da inserire o in una casella o nell'altra. Le persone come me, che non sono né integriste né militari, ma che sono militanti della causa democratica, questo schema le ha condannate in una casella con un nome odioso: ci chiamano gli sradicatori. E quando, all'interno di questo schema, ci si pone la domanda: chi sono questi sradicatori? la risposta è: ma sono degli agenti dei militari! Cari amici, questa semplificazione tramite le parole è una vera e propria guerra condotta con le parole. Non possiamo impedirla, ma ciò che possiamo fare -che io faccio e che mi impegno qui davanti a voi a fare- è di non permetterci mai e poi mai di semplificare la realtà di un altro popolo, mai e poi mai di affibbiare delle etichette a dei popoli. Potete indovinarlo da soli: l'Algeria è molto più ricca, molto più bella, molto meno triste di questo schema riduttivo, molto meno razzista di questo schema razzista.

Ho indossato oggi questo abito (un abito tradizionale cabilo, Ndr): non per esotismo, perché evidentemente non posso fare dell'esotismo su me stessa. E' uno degli abiti femminili tradizionali algerini, uno fra i tanti: abbiamo almeno una trentina di costumi tradizionali in Algeria. Ho portato questo perché è il meno complicato da trasportare, gli altri sono molto più belli, più ricchi, anche con tanti gioielli, questo viene dalla montagna, è il più povero dunque il più semplice. Ma ho tenuto a portarlo per dirvi: ecco gli abiti delle donne delle montagne del nostro paese. Vedete quanti colori? Per noi, questi sono i colori creati da Dio, i colori della natura e noi li indossiamo per festeggiare i colori e la bellezza. Nella tradizione algerina anche gli altri costumi sono ricchi di colori e non hanno niente a che vedere con l'uniforme integrista che vogliono imporci.

Forse vi ponete la domanda: "cosa sta succedendo in Algeria?". Cercherò di raccontarvelo, molto rapidamente. Il mio paese ha dovuto condurre una guerra di sette anni e mezzo contro il colonialismo francese per essere indipendente (1954-1962, Ndr). Questa guerra fu diretta da un partito, il Fronte di liberazione nazionale (Fln) e da un esercito, popolare, di liberazione nazionale (Aln). Fu una guerra durissima e al momento dell'indipendenza, nel 1962, il popolo algerino trovò del tutto normale che l'Fln e l'Aln, che lo avevano liberato, prendessero il potere. L'Fln, che durante la guerra diceva e scriveva che avrebbe costruito una democrazia, una repubblica democratica e sociale, ci ha imposto invece, per trent'anni, un regime di partito unico. Nell'ottobre 1988 ci furono delle insurrezioni della gioventù algerina e nel 1989 fu introdotta una nuova costituzione, che era ben lungi dall'essere democratica, ma che ammetteva il pluralismo politico. Questa costituzione permise a 63 partiti di esistere e fra questi un partito che diceva chiaramente nel suo programma di voler instaurare una repubblica islamica, un partito che affermava che la democrazia è un'eresia, perché nella repubblica islamica il potere è di dio, mentre in democrazia il potere è del popolo. Questo partito (Fronte islamico di salvezza, Fis, Ndr) si presentò alle elezioni del dicembre 1991 e le vinse4. Ma questo partito non ha mai mentito: ha sempre detto che non può esserci democrazia in Algeria, ha sempre detto di voler imporre il cambiamento delle abitudini alimentari e di abbigliamento degli algerini. Il suo capo carismatico affermò, come a suo tempo Mussolini, che il posto naturale della donna è a casa. E uno dei membri del direttivo del Fis dichiarò pubblicamente, durante la campagna elettorale, che bisognava ripulire l'Algeria di almeno due milioni di persone perché fosse un paese "perbene". Io che sono qui oggi davanti a voi lo riconosco, non l'ho mai nascosto: con le donne democratiche allora manifestammo per le strade, organizzammo dei raduni per dire alt alla morte a livello dello stato, alt alla morte istituzionalizzata5. L'esercito interruppe poi le elezioni, ma lo fece per i propri interessi, perché il Fis lo minacciava nel potere. Noi donne democratiche chiedevamo l'interruzione delle elezioni non per i nostri interessi, ma per salvare, letteralmente, la vita dei democratici, delle donne democratiche e della democrazia: non è la stessa cosa. E, sia chiaro a tutti, il terrorismo non è nato con l'interruzione delle elezioni, no. E' nato ben prima, è la storia a dirlo: ci sono scritti, testimonianze, noi donne democratiche continuiamo instancabilmente a raccontare il terrore fisico esercitato dai gruppi del Fis contro le donne, contro gli artisti, cotro i sindacalisti... prima delle elezioni del dicembre 19916. Un esempio, giusto un esempio: cosa successe nel novembre 1991, un mese prima delle elezioni? Un gruppo islamico armato, il Mia, attaccò una caserma nel sud del paese e sgozzò e evirò quattordici militari di leva7. Vi porrete forse la domanda di come sia possibile che un partito che si presenta alle elezioni abbia al contempo un braccio armato: ma tutto questo è contenuto nel programma del Fis! Nel caso in cui il Fis avesse vinto le elezioni, come partito islamista avrebbe utilizzato ufficialmente una polizia speciale, el hisba, una sorta di polizia del buoncostume per controllare che la gente vivesse secondo il dogma islamista, come in Iran i pasdaran. Bisognava dunque crearlo e addestrarlo questo corpo speciale, che non poteva essere costituito da poliziotti della repubblica o da gendarmi, poiché si tratta di "poliziotti" particolari, che sanno reprimere ma che sono al contempo formati ideologicamente. All'epoca, all'interno dello stesso Fis c'erano delle dispute: c'era un gruppo dirigente che credeva nella repubblica islamica per via legale e un altro gruppo che invece sapeva molto bene che il popolo algerino non si sarebbe lasciato coinvolgere in questa avventura e che dunque occorreva imporre questo progetto con la violenza. A partire dal 1992, dall'interruzione delle elezioni, il terrore è stato sistematizzato, generalizzato e sono sorti diversi gruppi armati: tanti, non uno. Oltre ai gruppi "storici", il Mia, Movimento islamico armato (il più vecchio, costituitosi nel 1989) e l'Ais, Esercito islamico di salvezza, il braccio armato ufficiale del Fis, ci sono: il Mei, Movimento per lo stato islamico, quello che "si occupa" anche di me8; il Lida, Lega per la djiad armata; il Gia, Gruppi islamici armati; e ci sono anche altri piccoli gruppi. E all'interno di ogni gruppo avete al kata'ib, ossia delle falangi e ciascuna falange ha il diritto di avere un capo spirituale. E allora c'è la falange verde, c'è la falange al bakuna al alhad, ossia i fedeli al giuramento, c'è katibat el mout, la falange della morte... Fra queste falangi, l'unica differenza è la quantità di morte prodotta: c'è chi è per tonnellate di morti e chi per della morte meno all'ingrosso. Ma sono tutti datori di morte. Vi dico questo per segnalarvi una cosa molto importante: non c'è un esercito islamista unito, con dei capi politici e militari, organizzato, con il quale si può discutere, no. L'obiettivo, quello sì, è per tutti uno solo: lo stato islamico, foss'anche con il terrore e la morte.

Di fronte a questa nebulosa islamista, cosa c'è in Algeria? C'è un potere, un regime, ma che -attenzione- non è Pinochet: il potere algerino è molto più complicato. Si tratta di un potere la cui colonna vertebrale è l'esercito, per le ragioni storiche di cui dicevo prima: l'esercito di oggi, infatti, è costruito sull'Aln della guerra. In Algeria ci sono sempre stati dei civili al servizio di questo esercito, dei civili che sono ancora oggi il paravento dell' esercito e che sono al potere: l'Fln è costituito di civili, l'Rnd9 è costituito di civili -civili che occupano le strutture dello stato, che tengono le redini dello stato e fanno parte dello stesso potere dell'esercito, lavorano per lo stesso potere. Qual è il progetto di società del potere? Non ve n'è alcuno, il potere non ha progetti di società, ha solo un obiettivo: restare al potere: perché c'è tanto denaro in Algeria, l'Algeria è un paese molto ricco, ha tanto petrolio, tantissimo gas10. Il programma dell'attuale potere è tutto qui, si riassume in: "voglio restare al potere". Di fronte agli islamisti, però, non c'è solo il potere: ci sono dei partiti democratici, delle associazioni democratiche della società civile, in particolare le associazioni delle donne democratiche, che costituiscono un movimento molto rispettato e con un peso nella società. Ci sono i sindacati democratici, dei sindacalisti che si battono e che sono convinti che l'unico sistema che permette ai lavoratori di difendere i propri interessi è la democrazia. Ci sono delle associazioni straordinarie di giovani, che hanno anche loro capito che la soluzione non è dietro il muro di Schengen, ma in Algeria e che bisogna costruirla in Algeria. E c'è soprattutto il più grande bastione per la lotta democratica: la stampa indipendente. La stampa indipendente è oggi per noi la vera cittadella della lotta democratica. Cari amici, il movimento democratico in Algeria vuole costruire una democrazia, il suo obiettivo è la democrazia: esso è dunque, per definizione, contro gli interessi del potere. E contro uno stato islamico, perché uno stato islamico è uno stato teocratico e uno stato teocratico è innanzitutto una dittatura. Ma vi supplico: il fatto di non essere per uno stato islamico non significa essere d'accordo con i militari. Allo stesso tempo, che gli islamisti siano contro un potere corrotto e mafioso non basta a farne qualcosa di buono: è come in Cambogia: che Pol Pot fosse contro un potere corrotto nel 1975 non significava che Pol Pot fosse un bene. Gli islamisti in Algeria sono ciò che fu Pol Pot in Cambogia. Andrò in fretta, perché il tempo stringe e perché voglio semplicemente dirvi che la situazione è complessa. Vi porrete sicuramente anche la domanda: chi uccide oggi in Algeria? Parlo qui in particolare dei massacri dell'estate. Io sono deputata e sono stata eletta nella circoscrizione del dipartimento di Algeri, che è molto vasto. Con la mia carta di deputata posso andare ovunque sul territorio della mia circoscrizione, posso dunque andare a visitare anche i luoghi e le popolazioni dove si sono verificati i massacri. E' una testimonianza che vi porto in questo momento. Innanzitutto: tutti i massacri: di Raïs, di Bentalha, di Béni Messous, de Zerrara, tutti nessuno escluso, sono stati rivendicati dall'emiro nazionale del Gia. E sono stati rivendicati non solo in Algeria, ma anche all'estero: a Londra ad esempio, dove, come forse sapete, gli islamisti hanno il loro più grande centro di comunicazione11. Poi bisogna che sappiate che quelli del Gia, nella zona in cui sono stati perpetrati i peggiori massacri, ossia la zona intorno ad Algeri, hanno ucciso la stessa popolazione che li aveva sostenuti, spesso le loro stesse famiglie. Perché? Innanzitutto perché la popolazione algerina è sempre più chiaramente anti-gruppi armati, perché è da cinque anni che soffre e sono i civili a soffrire. In secondo luogo perché la normalizzazione politica in corso in Algeria si sta facendo senza il Fis. Lo so che si tratta una normalizzazione piena di difetti, con brogli elettorali grossolani e via dicendo, ma è comunque una normalizzazione, che si sta attuando con il consenso della classe politica legale: tutti i partiti vi partecipano, anche il mio (Rcd, Rassemblement pour la culture et la démocratie, Ndr), che non la considera certo soddisfacente, ma che vi partecipa perché è la sola soluzione12. Quando dico classe politica legale, dovete rendervi conto che ci sono dei partiti islamisti legali in Algeria, due per l'esattezza13, che siedono entrambi in parlamento. Avete dunque una classe politica in cui c'è il partito del potere, ci sono i democratici e ci sono i partiti islamisti e che sta operando la normalizzazone senza il Fis e i suoi -e gli altri- gruppi armati. Al Fis, dopo le elezioni di giugno, rimaneva una sola carta da giocare, la carta internazionale: tentare cioè di "tornare" in Algeria, di riprendere un ruolo in Algeria tramite delle pressioni internazionali. Si è trattato di una strategia a doppia faccia, perché nello stesso tempo, a sostegno di questa manovra di rientro sulla scena politica, la dirigenza islamista ha tentato di "far giocare" all'interno del paese i gruppi armati: in modo da innescare, se la pressione internazionale non avesse funzionato, un processo di kabulizzazione di Algeri. Mi spiego: basta un semplice sguardo ad una carta geografica per notare che, come accennavo poc'anzi, tutti i massacri estivi sono stati perpetrati in prossimità di Algeri. Questo stesso territorio alle spalle della capitale è stato anche minato: ci sono centoventi chilometri quadrati di terreno minato: mine ed esplosivi sotto le case, sotto i giardini, sotto i terreni coltivabili L’obiettivo era non solo quello di uccidere, ma di “fareil vuoto" intorno ad Algeri, spingendo le popolazioni verso la città: far riversare le popolazioni sulla capitale, che è già di per sé sovrappopolata, creare un clima generalizzato di terrore e puntare ad una una presa del potere grazie ad una situazione di caos, esattamente come è successo a Kabul. C'è però una domanda da porsi, importante: come è possibile che dei massacri siano stati compiuti non lontano da caserme militari e che i militari non siano intervenuti o siano intervenuti troppo tardi? Io non sono un militare, non posso fornirvi che il risultato delle nostre analisi e delle nostre inchieste condotte ad Algeri -nostre nel senso di noi militanti dell’opposizione civile. In seno all'esercito algerino durante l'estate ci sono state grosse discussioni e dispute fra due gruppi, due tendenze. Intendiamoci bene su una cosa: io Khalida Messaoudi e il mio partito non conosciamo militari democratici, i militari del mondo intero sono innanzitutto militari: parlare di militari democratici è un controsenso logico, un'aberrazione nel senso matematico del termine. E, per favore, intendiamoci anche su un'altra cosa, per serietà: non credo proprio, e con me il mio partito, che i due gruppi all'interno dell'esercito si disputassero per essere o no d'accordo con Khalida Messaoudi o cose del genere. Nossignori: i militari sono tutti d'accordo sull'essenziale, ossia restare al potere: la sola cosa sulla quale non sono d'accordo è come restarci. Come restarci: su questo verteva il disaccordo dell'estate. E la disputa è iniziata nel mese di giugno, subito dopo le elezioni legislative14. Una tendenza sosteneva: per tenere sotto controllo il paese e risolvere la situazione, liberiamo i politici del Fis, associamo il Fis al potere e governiamo con loro. La seconda tendenza non ne voleva sapere di questo scenario: non perché è democratica, no, ma perché è traumatizzata dal precedente iraniano e si dice: “ma questi del Fis, se li facciamo uscire e li prendiamo al governo, vorranno la nostra pelle, soprattutto quella dei responsabili della repressione degli islamisti”. Fatto sta che nel mese di luglio tutti i dirigenti politici del Fis sono stati liberati, tutti tranne uno, Alì Benhadj, perché lui non ha voluto e ha affermato: “se sono liberato mi unisco alla guerriglia del Gia”. Benhadj è il tipo del Fis che amo di più, perché almeno è estremamente chiaro nelle sue posizioni e non ha esitato ad affermare: “se mi liberate mi unisco al Gia e faccio la guerra santa contro di voi, contro i taghout (infedeli, Ndr), fino all'avvento della repubblica islamica”. Gli altri sono tutti usciti di prigione, lui no, perché non ha voluto stare al gioco. Hanno dunque liberato i politici del Fis: era la prima tendenza che prendeva il sopravvento. Questa tendenza, che è molto ben rappresentata alla Presidenza, sapeva che in Algeria Abassi Madani (capo storico e fondatore del Fis, Ndr) non poteva tornare sulla scena politica così all'improvviso come se niente fosse, perché per la maggioranza degli algerini il primo responsabile della morte dei civili è il capo del Fis, per le famiglie vittime del terrorismo il responsabile morale e politico della morte dei loro cari è il capo del Fis: bisognava dunque preparare il suo ritorno. Con quale strategia? Mostrando al popolo algerino che fra i gruppi armati e all'interno del Fis c’erano i cattivi, quelli del Gia e quelli come Alì Benhadj, e c’erano i buoni, pronti a fare la pace, e che il più buono di tutti era Abassi Madani: poiché avrebbe chiesto ai gruppi armati di smettere di uccidere e allora gli avrebbero detto “ok ti perdoniamo, puoi tornare sulla scena”. E così, quando il Gia uccideva non bisognava intervenire per dimostrare che Abassi Madani e i politici del Fis sono più buoni e gentili del Gia. Ma come al solito i politici del Fis si sono dimostrati dei pessimi politici: e Abassi Madani, quando è uscito di prigione, invece di condannare la violenza, di lanciare un appello alla pace e alla tregua, ha cominciato a dire “ah, io non so chi è ad uccidere, chi è a morire...”, e soprattutto ha commesso un errore monumentale: ha scritto la lettera al segretario generale delle Nazioni Unite (il 30 agosto, Ndr). Con questa iniziativa ha chiuso, addio patto con l'esercito, e all'interno dell'esercito il rapporto di forza è cambiato ed è stata la seconda tendenza a prevalere, a prendere in mano le redini della situazione. E da allora sono successe due cose importanti. Vado in fretta. In sintesi, questa seconda tendenza che riprende in mano la situazione, dice: “noi esercito stiamo negoziando con una parte dei gruppi armati del Fis dal 1995, da due anni, non vediamo perché non dovrebbero essere questi gruppi a fare un appello alla tregua, poiché sono loro i militari, invece di lasciar supplicare Abassi Madani; noi stiamo negoziando con l'Ais da due anni, l'Ais ora è d'accordo, ha deposto le armi da tempo: ebbene, chiederemo al capo del'Ais di fare un appello alla tregua”. E' esattamente quello che è successo -prima cosa: il 28 settembre in apertura del telegiornale delle 20 noi algerini abbiamo ascoltato la presentatrice leggere il comunicato del capo dell’Ais che annunciava la tregua a partire dal 1° ottobre: un evento storico, qualcosa di impossibile fino al 28 settembre scorso. Dunque l'esercito ha ottenuto ufficialmente la tregua dell'Ais il 28 settembre, una settimana dopo ha ottenuto la tregua della Lida e la settimana ancora successiva, due giorni fa (il 17 ottobre, Ndr), la tregua del Fida, il gruppo specializzato nell'assassinio di giornalisti, di intellettuali, di personalità politiche. Seconda cosa: parallelamente a questo, i militari hanno occupato i luoghi dei massacri del Gia. L'esercito ha occupato il terreno e qualcosa di storico dall'indipendenza si è prodotto in Algeria: un generale ha convocato i giornalisti e ha parlato con loro. Ogni tre quattro giorni li convoca e mostra loro le operazioni, se vogliono andare sul terreno delle operazioni glieli conduce, ecc.: così, dal 28 settembre, noi algerini ogni tre quattro giorni apriamo il giornale per leggere il feuilleton del generale Foudil (è anche la prima volta che conosciamo, ufficialmente, il nome di un generale) e leggiamo: “ecco, oggi l'esercito ha sminato 20 chilometri quadrati di territorio, oggi l'esercito ha fatto questo e quello...” E ci passano anche le operazioni in diretta televisuva: quello che trovano, le interviste dei terroristi catturati vivi, le testimonianze delle donne terroriste -perché ora sappiamo che ci sono delle donne terroriste... E' la prima volta nella nostra vita che questo succede.

E noi civili, noi democratici? Dal 1994 -ripeto ed insisto: dal 1994- chiamiamo la popolazione all' autodifesa, perché quando si è attaccati l'autodifesa è un diritto e un dovere. Al contempo le associazioni della società civile cercano di aiutare le famiglie vittime del terrorismo e soprattutto i bambini, perché i bambini sono delle vittime molto speciali. Quanto alle donne vittime del terrorismo, ci sono solo le associazione delle donne che cercano di aiutarle. Vi cito un esempio recentissimo: lo scorso venerdì, il 17 ottobre, si è tenuto un importante colloquio ad Algeri, organizzato dalla moglie di un grande professore di pediatria assassinato dal Fida, la signora Belkhenchir. Tema del colloquio, cui hanno partecipato specialisti, genitori, bambini, era come farsi carico dei bambini: sia i bambini vittime del terrorismo, ossia che hanno perso la famiglia e/o che hanno essi stesso subito violenze e soprusi, sia i bambini degli stessi terroristi. Per cominciare a riflettere, perché non si sa come fare affinché questi bambini possano continuare a vivere insieme -poiché sono degli stessi quartieri, si conoscono, sanno quello che è successo: cosa e come fare per rimetterli gli uni con gli altri, per ricostruirli, perché più tardi non rifacciano quello che la nostra generazione è stata incapace di evitare. Sul versante dell'azione politica, il partito al quale appartengo ha chiesto con una lettera ufficiale al Presidente dell'Assemblea nazionale che questo convochi il capo del governo e il ministro della difesa perché vengano a spiegarci ufficialmente come si possono lasciare dei civili morire senza che l'esercito intervenga: poiché è necessario che una spiegazione ufficiale venga fornita. Il nostro obiettivo è costituire un gruppo di parlamentari autonomi, dei parlamentari che rappresentino tutte le tendenze politiche ma che siano autonomi dall'esecutivo e che possano indagare per accertare la verità sui massacri che sono stati perpetrati soprattutto in estate. D'altro canto, parteciperemo alle elezioni amministrative di giovedì prossimo (23 ottobre, ndr), perché pur sapendo che ci saranno brogli, consideriamo che sta agli algerini, con tutte le difficoltà che questo comporta, costruire il loro avvenire democratico. Noi non crediamo ai decreti e alle ingiunzioni: che vengano da un'autorità nazionale o da una capitale ideale d'oriente o d'occidente. Noi siamo contrari ad una conferenza internazionale sull'Algeria e vi dirò perché. Ponete la domanda a qualsiasi giurista del mondo: l'obiettivo di una conferenza internazionale sull'Algeria è innanzitutto quello di riunire i belligeranti. I belligeranti in Algeria, riconosciuti come tali dalla comunità internazionale, sono coloro che sono armati. Ora, chi è armato in Algeria? C'è lo stato, il potere, e ci sono i gruppi armati islamisti. Questo significa che questa conferenza internazionale conferirebbe lo status di belligerante al Gia sgozzatore di bambini e sventratore di donne, uno status che significa innanzitutto dei diritti in sede negoziale. Questo, se non l'avete voluto per i serbi che hanno massacrato i bosniaci, non potete pretenderlo per l'Algeria; se avete accettato di costituire un tribunale internazionale per giudicare i crimini contro l'umanità in Bosnia, ebbene dovreste tenere, non foss'altro che per coerenza, lo stesso atteggiamento nei confronti di quello che succede in Algeria. C'è una parte di democratici algerini di cui parlo con tutta la fraternità necessaria, perché rifiuto l'odio -l'odio uccide e cerco di fare di tutto affinché non mi abiti mai: parlo dei compagni del Ffs15. L'Ffs crede che una conferenza internazionale permetterà ai democratici di parteciparvi e di avere uno status e dunque di negoziare con il potere algerino. Per l'Ffs una conferenza internazionale sarebbe un modo di imporre dei negoziati al potere algerino e lo stesso Ffs pensa che il Fis esigerà che i democratici siano presenti. Noi pensiamo che questo è un errore. Perché? Per due motivi: innanzitutto il Fis ha dimostrato di aver negoziato direttamente con i militari senza nessun'altro: mentre Anwar Haddam, che è membro del Gia -lo ha detto lui stesso- e ha rivendicato pubblicamente degli assassini, firmava gli accordi di Sant'Egidio a Roma16, il Fis ad Algeri stava negoziando direttamente con i militari e oggi la storia lo dimostra. In secondo luogo, non bisogna mai dimenticare la natura politica e ideologica e l'obiettivo del Fis. Il suo obiettivo è lo stato islamico e la sua natura è una natura totalitaria: l'Ffs è democratico, il Fis non lavorerà mai per un partito democratico.

Terminerò dicendo che la soluzione esiste, ed è in Algeria: verrà con l'unione di tutti i democratici algerini per imporsi, come forza ineludibile, sia al potere che agli islamisti. E' la sola soluzione, non ve ne sono altre: unire i democratici, costruire un fronte democratico e porsi a livello sociale e politico come forza ineludibile. E questo solo gli algerini possono farlo: ma evidentemente vi saremo molto grati per il vostro aiuto in questo senso, se inviterete tutti i partiti democratici ad unirsi, invece di cercare di prendere partito nelle loro dispute interne. Il miglior aiuto che potete darci è prendere l'Rcd, l'Ffs, Ettahadi (movimento che ha raccolto l’eredità del Partito dell’avanguardia socialista, sciolto nel 1992, Ndr), l'Anr (Alliance nationale républicaine, Ndr)... tutti i partiti democratici algerini e ripere sempre “unitevi, perché è la sola soluzione”. Voglio concludere su una nota di speranza. Io credo a questo fronte democratico, che ha già iniziato il suo percorso in sede di elezioni legislative fra due partiti democratici, il mio e l'Mdc a livello di liste. Perché ci credo? Soprattutto perché le donne democratiche, organizzate in quattordici associazioni diverse, sono riuscite, loro, a far fronte comune su due punti: le donne democratiche sono unite nella lotta contro l'oppressione istituzionalizzata dallo stato attraverso il codice della famiglia (adottato nel 1984, Ndr) e nella lotta contro la repubblica islamica che vogliono imporci i gruppi armati. L'8 marzo scorso abbiamo lanciato una petizione nazionale per i diritti delle donne nella famiglia17, il prossimo 8 marzo depositeremo la nostra petizione firmata all'Assemblea nazionale. Noi resteremo unite su questi due punti e io spero che gli uomini democratici arrivino anch'essi alla ragione e seguano l'esempio delle donne. Non c'è alcuna vergogna a seguire l'esempio delle donne in Algeria, poiché nella nostra memoria collettiva le donne sono degli esempi e dei simboli di libertà, di dignità, di resistenza.

Voglio dire ancora grazie al sindaco di Città di Castello, al sindaco di Tuzla, all'associazione Pro Europa e dirò anche, a nome delle donne democratiche, delle donne del mio paese e del popolo algerino, grazie al Sig. Adriano Sofri, che ha scritto qualcosa di molto giusto18, qualcosa che noi sentiamo molto vicino, molto nostro, perché nella nostra cultura il rispetto è sacro. Rispettate il popolo algerino e l'avrete in tutto e per tutto. Il rispetto comincia dall'ascolto dell'altro: ascoltare gli algerini, guardarli, non semplificare la loro vita e la loro realtà. Il rispetto comincia dal dire che se non si sa cosa sta succedendo in Algeria, questo non è grave di per sé: ma quando non si sa non si può prendere posizione, perché altrimenti non si rispettano gli algerini. Rispettateci e ci avrete al vostro fianco in tutto e per tutto. Giusto un po' di rispetto. Grazie infinite.

(traduzione ed editing a cura di Maria Assunta Mini - Una città - Forlí)

NOTE

2Fondata dallo stesso Langer con alcuni amici a Bolzano nel 1994. Indirizzo: Pro Europa "lentius, profundis, suavius" , Via Portici 49 Lauben, 39100 Bolzano/Bozen, tel/fax 0471-977691, e-mail: proeuropa@dnet.it

3Composto da: Peter Kammerer (Urbino, docente universitario, Presidente), Birgit Daiber (Berlino, ricercatrice, esperta di cooperazione), Lisa Foa (Roma, giornalista e saggista), Renzo Imbeni (Bologna, vice-presidente del Parlamento Europeo), Aldo Mazza (Merano, BZ, imprenditore di un'agenzia di formazione linguistica), Simonetta Nardin (Roma, giornalista), Tonino Perna (Reggio Calabria, docente universitario e presidente dell'ong CRIC), Anna Segre (Torino, docente universitaria), Gianni Sofri (Bologna, saggista e docente universitario), Leopold Steurer (Merano, BZ, insegnante, storico), Gianni Tamino (Padova, deputato europeo), Massimo Tesei (Forlì, presidente della cooperativa "Una Città").

4 Ecco le cifre delle elezioni legislative del 26 dicembre 1991:

- numero degli elettori iscritti nelle liste 13.258.554

- numero dei votanti 7.822.665 (pari al 59% degli aventi diritto al voto)

- numero degli astenuti 5.435.929

- voti espressi 6.897.719

- schede nulle 924.906

In questa prima tornata elettorale (le elezioni si svolgevano infatti con un sistema maggioritario uninominale a due turni, secondo la legge approvata il 1° aprile 1991) il Fis ottenne 3.260.222 voti, pari al 40,05% dei voti espressi e al 24,79% del totale degli elettori iscritti. Le elezioni furono bloccate dall'esercito, che costrinse il Presidente Chadli Bendjedid alle dimissioni l'11 gennaio 1992. Rispetto alle amministrative del giugno 1990, il Fis perdette 1.200.000 voti. Prima dello svolgimento della votazione di dicembre l'opposizione democratica aveva denunciato il mancato recapito di circa un milione di certificati elettorali da parte delle amministrazioni Fis e, al momento dello spoglio, numerose irregolarità nelle stesse circoscrizioni (es: morti che risultavano aver votato...).

5 Il 9 gennaio 1992 vi fu una grande manifestazione di donne ad Algeri contro il Fis, preceduta da un'altra manifestazione di 300.000 persone, che marciarono per le vie della capitale, il 2 gennaio, al grido di "Né Iran né Sudan, l'Algeria ai democratici" e dalla creazione, il 5 gennaio, del Comitato nazionale per la salvaguardia dell'Algeria (Cnsa), presieduto da Hafid Senhadri, poi assassinato nel marzo 1993. La sera del 2 gennaio 1991, inoltre, la popolarissima trasmissione radiofonica Show débat condotta da Malika Boussouf mandò in onda il dibattito Come salvare l'Algeria, animato dallo stesso Senhadri e altri membri del Cnsa -dibattito che costò a Show Débat la sospensione.

6 Documenti, testimonianze e reportages della stampa algerina sulle violenze, gli assassinii e le campagne intimidatorie del periodo 1989/90 sono riportati, ad esempio, nel bollettino Femmes contre l'oubli dell'associazione Rachda. A Vienna, nel giugno 1993, la stessa Khalida Messaoudi presentò, dinanzi al Tribunale internazionale delle donne (Forum delle Ong) una testimonianza, La nuova inquisizione, sulla campagna di violenze integraliste contro le donne di quel medesimo periodo, in cui è descritto, fra gli altri, un episodio che aveva molto scosso l'opinione pubblica: l'assalto da parte di una milizia islamista di 13 persone, nella notte fra il 22 e il 23 giugno 1989, a Ouargla (850 km a sud di Algeri), alla casa di Saliha Mahdi, una giovane donna di 34 anni, abbandonata dal marito prima del divorzio, analfabeta e senza lavoro, che viveva con i suoi sette figli. La casa fu incendiata e nel rogo morì Ali, di tre anni, il figlio più piccolo. I 13 islamisti, tutti identificati, rivendicarono il crimine definendolo una legittima "opera di pulizia pubblica". Si veda anche l'intervento di Zineb Lawedj, Dalla parola al crimine, in La schiavitù del velo (a cura di Giuliana Sgrena), Manifestolibri, Roma, 1995

7 Successe a Guémar, nel sud-est algerino. I giovani militari assassinati furono ritrovati con il sesso tagliato e infilato in bocca.

8 La condanna a morte formale di Khalida Messaoudi, datata 12 giugno 1993, reca infatti il timbro del Mei, diretto da Saïd Makhloufi. Condanne a morte simili sono state comminate dagli islamisti anche ad altri esponenti della società civile algerina (come, ad esempio, alla giornalista Malika Boussouf, citata alla precedente nota 3) e non sono mai state smentite né ritirate da alcun dirigente islamista. Molte sono state eseguite, e regolarmente e pubblicamente rivendicate. Una lista corredata di alcune informazioni biografiche di artisti, scrittori, ricercatori, scienziati e universitari assassinati in Algeria dal 1993 (Le voci mute) è pubblicata nel bollettino di informazione n.6, settembre 1995, del Comitato Italiano di Solidarietà con l'Algeria (Cultura, arte e scienza minacciate): il bollettino si può richiedere al CISA, c/o Lega per i diritti dei popoli, via Dogana Vecchia 5, 00186 Roma, tel/fax 06-6864640).

9 Rassemblement national démocratique, il partito fondato dal presidente Liamine Zéroual il 21 febbraio 1997, in vista delle legislative del 5 giugno 1997. In Algeria, Rnd è sinonimo di partito del potere.

10 I proventi dell'esportazione degli idrocarburi ammontano a circa 17 miliardi di dollari all'anno.

11 A Londra sono pubblicati alcuni bollettini del Gia, fra cui il bollettino settimanale Nour el hisbah (la luce del giorno) della fazione Al bakuna al alhad: un foglio di quattro pagine, distribuito anche, clandestinamente, in Algeria, che ha tutta una sezione con le rivendicazioni di atti terroristici ed esecuzioni. Il Gia ha anche aperto, sempre da Londra, un sito Internet.

12 Si veda in proposito la dichiarazione preliminare di Saïd Sadi, segretario generale dell'Rcd, alla conferenza stampa tenuta ad Algeri il 27 settembre 1997 e pubblicata nel dossier L'Algeria nel cuore n.2 (ottobre 1997) edito dalla cooperativa Una Città, piazza Dante Alighieri 21, 47100 Forlì, tel.0543-21422, fax 0543-30421, e-mail una.cuttà@icot.it

13Ennahda, Movimento della rinascita islamica, di Abdallah Djaballah e Hms, ex Hamas, di Mahfoud Nahnah, che è oggi al governo con sette ministri ed era al governo anche prima delle elezioni del giugno 1997. Mahafoud Nahnah è il vice-presidente dell'internzionale dei Fratelli Musulmani.

14 Alle legislative del 5 giugno scorso, nella circoscrizione di Algeri, l'Rcd ha ottenuto, stando i risultati ufficiali, il 33% (ufficialmente secondo partito, ad esempio, alla Casbah). E' stato accreditato di un 10,5% a livello nazionale, con punte di oltre il 50% nella Cabilia centrale (circoscrizione di Tizi-Ouzou). Per riconoscimento unanime, partisti islamisti compresi (i relativi comunicati sono verificabili da chiunque) e con la sola esclusione del partito de presidente Zéroual, l'Rcd ha subito gravi frodi elettorali, in particolare nella capitale, dove si profilava una sua vittoria clamorosa. In luglio, per decreto governativo, il dipartimento di Algeri è stato ampliato territorialmente (da 33 a 54 comuni) e trasformato in Governatorato della grande Algeri: il decreto stabilisce che il Governatore, cui spetta il potere decisionale, è nominato direttamente dalla Presidenza della Repubblica (è, cioè, un non eletto). Le frodi elettorali delle amministrative del 23 ottobre sono cronaca recente.

15 Fronte delle forze socialiste di Hocine Aït Ahmed.

16 Riferimento al cosiddetto Contratto di Roma, firmato il 13 gennaio 1995, sotto gli auspici della Comunità di Sant'Egidio e grazie ad un finanziamento dell'Unione Europea, dal Fis (Rabah Kebir e Anwar Haddam) e da alcuni partiti algerini favorevoli ad un accordo con esso: Fln, ex partito unico (Abdelhamid Mehri), Ffs (Hocine Aït Ahmed), Ennahda (Abdallah Djaballah), Mda-Movimento per la democrazia in Algeria (Ahmed Ben Bella), Partito dei Lavoratori (Louiza Hanoune), Jazaïr musulmana e contemporanea (Ahmed Ben Mohammed), Lega algerina di difesa dei diritti dell'uomo (Abdenour Ali Yahia). Nel suo articolo 6 il contratto menziona esplicitamente la supremazia della "legge legittima", tradotta con charia nel testo in arabo, non a caso il solo sottoscritto dai rappresentanti del Fis. L'iniziativa fu duramente criticata dalla Chiesa cattolica d'Algeria, in particolare da monsignor Pierre Claverie, vescovo di Orano, successivamente ucciso in un attentato, nell'agosto 1996. Uno dei firmatari del Fis, Anwar Haddam, allora portavoce del partito a Washington, aveva già rivendicato, fra gli altri, l'assassinio di Tahar Djaout, primo degli oltre 80 giornalisti e addetti alla stampa uccisi in Algeria dal 1993; due settimane dopo l'incontro di Roma, lo stesso Haddam rivendicò l'attentato di Boulevard Amirouche ad Algeri che aveva provocato 42 morti e quasi 300 feriti. Le condanne a morte comminate dal Fis ad esponenti della società civile algerina non furono né contestate né prese in considerazione.

17Campagna Un milione di firme per i diritti delle donne nella famiglia. Il testo della petizione e altre informzioni su questa iniziativa sono pubblicate nei dossier L'Algeria nel cuore (ref. nota n.12). Per informazioni sul movimento delle donne democratiche algerine e sulla storia recente dell'Algeria si veda: Kahina contro i califfi. Islamismo e democrazia in Algeria, di Giuliana Sgrena, Datanews, Roma, 1997, Lit.18000

18Riferimento all'articolo pubblicato sul settimanale Panorama (rubrica Dopo Tutto) del 25 settembre 1997 e in particolare al trafiletto Piccola Posta del quotidiano Il Foglio del 28 settembre che inizia con due domande: “Quante sono le persone dotate di autorità pubblica, nella politica, o nell'opinione, che sono andate in Algeria a cercare di capire di più che cosa vi succede, e che cosa si potrebbe fare? Quante sono, fra queste persone, quelle che hanno almeno desiderato di andarci, e perché si sono risposte di no?”. Khalida Messaoudi ha incontrato personalmente Adriano Sofri nel carcere di Pisa il 20 ottobre 1997, all'indomani dell'assegnazione del Premio Alexander Langer.

(FOTO CON JACQUELINE MUKANSONERA E JOLANDE MUKAGASANA , premi Langer 1998,  a Città di Castello)

pro dialog