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Sviluppo ? basta ! - a tutto c'è un limite…

1.4.1991
Il resoconto della tavola rotonda condotta da Alex Langer con Mauro Paissan, Wolfgang Sachs, Renata Ingrao, Michele Boato.

"Questa tavola rotonda conclusiva dovrebbe essere l'occasione in cui persone qualificate, interpreti sensibili di diversi filoni culturali e ideali, interpellano l'area "verde" in torno ad alcuni grandi interrogativi.
Al momento, come giornalista è presente Mauro Paissan, redattore de "Il Manifesto", osservatore critico e attento di ciò che si muove nell'area verde. Viceversa dalla parte delle risposte vi sono persone significative che risponderanno ognuno a nome proprio, a nome delle cose che fa e che pensa; sono Renata Ingrao, segretaria generale della Lega per l'ambiente, che rappresenta la parte più consistente dal punto di vista organizzato, dell'ambientalismo in Italia. Poi abbiamo Wolfgang Sachs, che non opera in nessun contesto organizzato e che non parla con l'occhio a un'associazione particolare, ma che invece da molti anni, da una posizione privilegiata che oltrepassa le varie frontiere, è un accompagnatore solidale e critico dei movimenti ecologisti in Italia, dove ha vissuto negli ultimi anni, sia in Germania, suo paese d'origine sia negli Stati Uniti dove ha vissuto e insegnato. La terza persona da interpellare è Michele Boato, un verde con anche responsabilità politiche, poiché membro del Consiglio Regionale del Veneto e uno dei coordinatori della Federazione dei Verdi.
In questi giorni abbiamo visto riflettersi qui nel nostro convegno una acuta crisi non solo del socialismo, della stabilità ecologica e di tante altre cose, ma anche delle idee o se vogliamo delle ideologie interventiste. Abbiamo sentito da più parti critiche e riflessioni, anche profonde, rispetto alla pretesa di poter cambiare il mondo, di poter realizzare, con l'organizzazione e con la forza soggettiva, obbiettivi che si ritengono giusti o importanti.
Il primo stimolo che vorrei dare a questa discussione è il seguente: è possibile che oggi, non solo nel Nord del mondo, ma anche nel Sud, sia così difficile individuare degli ideali, delle forze motrici che non siano solo dei sogni, ma anche possibilità reali che aiutino a intravedere un possibile cambiamento e aiutino anche a provocarlo ? E' possibile, in particolare, che oggi l'unica forza incontrastata che può e che si propone di cambiare il mondo sia il mercato con la sua dinamica incontrollata ?
Abbiamo addirittura visto, dalla testimonianza di Dieter Vogelay di Berlino Est, una sorta di obbedienza nei confronti del mercato da parte delle popolazioni dei paesi dell'Europa dell'Est, che votano e sostengono partiti che esaltano il mercato e che gli aprono la strada. Questa aspettativa è stata definita illusoria da Wolfgang Sachs: tra poco probabilmente il mercato ed il capitalismo rimpiangeranno il socialismo ed il comunismo, perché non ci sarà più la lotta contro di essi per giustificare e legittimare la loro politica.
Mi sembra importante capire più a fondo se le ideologie senza annettere a questo termine particolare peso - che pretendono di rendere felice l'uomo siano fortemente in crisi e perché.
Un secondo aspetto che vorrei mettere in luce è quello della necessità, riconosciuta in questo convegno senz'altro da tutti, di una forte contrazione del modello che governa dal punto di vista economico, culturale politico il Nord industrializzato del mondo. Anche se ogni processo di contrazione e di riduzione è assai difficile, così come più difficoltoso tagliare qualsiasi spesa. Abbiamo sentito gli operai delle industrie belliche ed i loro sindacati protestare contro i tagli alla spesa militare, gli stessi sindacati che, in altri tavoli, li avevano chiesti; oggi uno degli interrogativi maggiori che sono emersi in questo incontro è quali siano le vie per arrivare a forme di "atterraggio morbido".
Voglio concludere questa introduzione riprendendo due punti emersi in particolare in alcuni dei gruppi di lavoro; il primo riguarda la questione del Golfo: molti di noi dell'area ecologista hanno vissuto un forte disagio perché ci si rendeva conto che la pura ripetizione dei vecchi slogan "via gli americani dalla Nato, dall'Italia, dal mondo" oppure "no alla guerra" avevano qualcosa di puramente declamatorio e autoconsolatorio. Nello stesso tempo abbiamo visto il dispiegarsi di una logica in cui, con tutte le motivazioni che giustificano interventi contro espansionismi e aggressioni del tutto ingiustificate, il conflitto assume fortemente le caratteristiche di uno scontro Nord-Sud; non perché Saddam Hussein rappresenti il Sud e perché le armate presenti rappresentino il Nord, ma perché il conflitto e la contraddizione che aprono sono Nord-Sud.
Tre le tematiche che a questo proposito devono trovare il modo di esprimersi è quella dell'obiezione di coscienza nei confronti della guerra, e di tutte le cose ad essa connesse. Il secondo punto che è emerso ormai da molte parti, non solo dalle associazioni pacifiste e nonviolente, non solo in Italia ma anche in altri paesi, è la certezza che si debba arrivare ad un dialogo, ad una forte rete di solidarietà tra popolazioni europee e, in particolare tra i popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente.
Apparentemente la crisi del golfo ci distoglie dallo sforzo di operare la nostra contraddizione, ma è anche un banco di prova. Una proposta per quanto piccola come quella dello sciopero dell'automobile e della revisione dei nostri consumi energetici, è senz'altro una importante risposta ma non ci esime dal cercare anche risposte alla questione bellica.
L'ultimo aspetto che voglio toccare è quello dei consumi. Molti dei gruppi di lavoro e degli interventi hanno cercato di bilanciare questa tensione tra il bisogno di fare cose grandi e le ripercussioni in piccolo. C'è una tentazione oggettiva, nell'area qui riunita, di affidarsi in prevalenza solo alle risposte piccole, visto che le risposte grandi sono molto lontane e rischiano di sottometterci al gioco della politica. In altri contesti è invece vero il contrario, si fa molta politica ma non si è mai minimamente presa in considerazione l'idea di limitare i propri consumi energetici o di lavorare in questa direzione.
La questione dei consumi è un aspetto centrale se vogliamo affrontare seriamente il problema di una contrazione non vissuta come autoflagellazione e come una sorta di sacrificio per sentirsi buoni ma viceversa come passaggio ad una qualità diversa e migliore - vivere meglio con meno - come una scelta con ideologica ma oggi anche molto praticamente sperimentabile.
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