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Impatto ambientale sociale e culturale della cooperazione italiana

1.10.1991
Abbondano, nei paesi industrializzati, gli istituti che hanno il compito di favorire i commerci, l'export, gli investimenti, le transazioni finanziarie. Sono centri che spianano la strada agli affari, ai legami economici, all'intensificazione degli scambi commerciali ed alla penetrazione dei mercati. Spesso questi istituti hanno tra le loro funzioni anche quella di estendere la rete delle relazioni economiche verso il c.d. terzo mondo, dove spesso si trovano terre ancora vergini e spazi bianchi sulle mappe degli affari.

Le aziende che si servono di questi istituti ed i ministeri del commercio estero dei paesi interessati, sotto il profilo del loro interesse finanziario nel breve periodo hanno lavorato bene. Le bandierine che segnalano ormai la presenza di cantieri, banche, miniere, imprese assicurative o catene di alberghi si sono infittite anche nell'emisfero meridionale del mappamondo, il flusso di denaro che passa da sud a nord (cioè dai poveri ai ricchi) da anni supera quello che a vario titolo percorre la direzione inversa.

Ciò vuol dire che l`insieme dei cosiddetti aiuti, prestiti, pagamenti e trasferimenti finanziari che ogni anno va dai paesi industrializzati a quelli chiamati eufemisticamente "in via di sviluppo" viene superato dall'insieme delle somme che per rimborsi e pagamenti ritorna dal sud nelle casse dei ricchi. Ma si è anche allargata a dismisura la scia di distruzioni sociali, ambientali ed culturali che questo "sviluppo" ha lasciato dietro di sè nei paesi che ne sono stati fatti oggetto. Urbanesimo selvaggio e gente accatastata in megalopoli invivibili; foreste tropicali disboscate (e con loro sfrattati i popoli indigeni che vi abitavano); risorse ittiche raschiate al fondo; differenze sociali divenute abissali (è infinitamente più grande la distanza tra un povero ed un ricco di oggi, in India o in Egitto o nel Perú, che non 2-300 anni fa); equilibri idro-geologici sconvolti. Devastazioni che non feriscono solo i popoli più direttamente colpiti, ma che sempre più arrivano come dei boomerang anche a noi che viviamo nel nord industrializzato, bianco e benestante del pianeta. Perchè il taglio delle foreste pluviali, veri e propri polmoni della terra, distrugge - oltre all'habitat dei popoli e della fauna locale - pure un pezzo di quel grande circuito di ossigenazione che permette di respirare anche a noi.

Ecco perchè qualcuno comincia a pensare che ormai occorrono, più che istituti per la promozione dei nostri affari nel terzo mondo, strumenti che ci aiutino a capire e limitare i danni che il trionfo dei nostri affari provoca in giro per il mondo. E che la cosiddetta "cooperazione" con il terzo mondo, gli "aiuti allo sviluppo", debbano essere sottoposti ad un vaglio critico per evitare di fare danni in nome di chi, con il denaro dei contribuenti, prometteva invece di "aiutare".

E' così che dalla "Campagna nord-sud: biosfera, sopravvivenza dei popoli, debito" è nato l'"Osservatorio dell'impatto ambientale, sociale e culturale dell'intervento italiano nel sud del mondo" (OIA), reso possibile grazie all'impegno convinto di persone impegnate nei movimenti ecologisti e della solidarietà tra i popoli, e ad un generoso contributo della "Federazione delle liste verdi". Quel che avete in mano è il primo dossier con i risultati della sua ricerca relativa al Brasile (ed ha in cantiere, in fase avanzata, un'analogo lavoro sulle Filippine). Non si tratta di risultati scandalistici, ma di "normalità" nei rapporti nord-sud. Una "normalità" che tuttavia poi fa gridare allo scandalo, quando ci si accorge che così ci stiamo "mangiando l'Austria" ogni anno (così il WWF italiano ha efficacemente sintetizzato in una sua campagna la veloce progressione della deforestazione in Amazzonia).

Quali sono, in sintesi, le proposte più generali che emergono dalla rigorosa analisi che l'équipe dell'OIA ha condotto nel suo primo lavoro?


Vorrei riassumerli così:

1. ormai è necessario che ogni intervento "di cooperazione" dei paesi industrializzati verso il terzo mondo venga sottoposto ad una severa valutazione dell'impatto ambientale, sociale e culturale, per evitare che si distruggano preziosi ed irrecuperabili ecosistemi, che si lacerino tessuti sociali seminando miseria e dipendenza, che si snaturi l'identità e la cultura di intere popolazioni;

2. tale "valutazione di impatto" non può consistere nel ricorso ad una nuova tecnocrazia che agli "studi di fattibilità" commissionati dalle aziende aggiunga semplicemente un ulteriore parere tecnico che certifichi la compatibilità ambientale, sociale e culturale del progetto, bensì dovrà essere fatta essenzialmente insieme ad esponenti dei popoli più direttamente interessati (come hanno esemplarmente ed efficacemente fatto gli autori di questo dossier); si dovranno sviluppare metodologie ed esperienze adatte a farlo, ed è evidente quanto pesi a questo proposito la pressione e la vigilanza dell'opinione pubblica democratica, ambientalista e solidale;

3. anche nella cooperazione dovrà ormai valere il criterio che le "grandi opere" vanno guardate con una particolare diffidenza critica, per l'alto tasso di irreversibilità che contengono: gli errori, una volta impostati, sono difficilmente correggibili e si tende a perpetuarli, se non altro per non smentire gli enormi capitali investiti;

4. è venuto il momento di cominciare a risarcire i popoli e la natura dei danni loro inflitti: ecco una possibile destinazione "creativa" del debito estero, ecco un nuovo ed importante traguardo della cooperazione.

Ed è con particolare piacere che possiamo oggi dare la notizia che in seguito alla prima pubblicazione del presente dossier si è avviato un fruttuoso dialogo tra l'Osservatorio e l'AGIP-Petroli, che è proprietaria della Fazenda Suiá Missú nel Mato Grosso in Brasile, per a restituzione agli indios Xavantes delle loro terre a lungo rivendicate.

5. non è più accettabile alcuna nozione ed alcuna politica "di sviluppo" che non ne salvaguardi la durata nel tempo e la compatibilità con la natura; è questo quel che si deve intendere quando si parla di "sviluppo sostenibile", lo è solo quando è conciliabile con i limiti della biosfera, con imprescindibili criteri di equità sociale e con l'integrità culturale di chi vi è coinvolto; altrimenti i danni che si inducono sono di gran lunga superiori ai vantaggi;

6. tutto questo non è un lusso di anime belle terzomondiste o espressione di particolare generosità o filantropia da parte dei paesi industrializzati, bensì una necessità comune sia ai popoli del sud del mondo, sia alla gente dei paesi industrializzati. L'assalto indiscriminato alle "casseforti biologiche" del pianeta comporta dei costi e delle conseguenze tali che nessuno potrà illudersi che resteranno circoscritte al mondo del "sottosviluppo".

Non è detto che sforzi come quelli della "Campagna nord-sud" o dell'"osservatorio" arrivino ancora in tempo. Può darsi che effettivamente la vorace miopia degli interessi economici e dei profitti a corto termine siano più forti di ogni richiamo alla ragione, oltre che alla giustizia. Ma non è un buon motivo per non provare almeno a fare il possibile per la difesa dell'integrità della biosfera e per la sopravvivenza dei popoli, accettando di cominciare a pagare il comune debito che - seppur in proporzioni assai diverse - nord e sud hanno contratto con la "madre Terra".

Introduzione alla seconda edizione del dossier "Brasile - responsabilità italiane in Amazzonia", curato dall' OIA - Campagna Nord-Sud: Biosfera, Sopravvivenza dei Popoli, debito - via S. Maria dell'Anima, 30 - 00186 Roma

Campagna Nord-Sud, ottobre 1991
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