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Helsinki Citizens' Assembly II: nuovi muri in europa

1.4.1992, Intervento
Risposte civili a nazionalismo e razzismo. "Ci sono un sacco di eroi tra noi, in quest'assemblea: vengono dal Nagorno Karabach, impegnati contro la guerra tra armeni e azeri;

dalla Turchia, dove si battono per i diritti dei kurdi (e contro il terrorismo di certe organizzazioni kurde); dalla ex-Jugoslavia, dove promuovono dialogo e cooperazione tra i diversi popoli; dal Kuwait, ove non si rassegnano al ritorno del vecchio ordine ingiusto, dopo la cacciata degli occupanti irakeni, da Israele e Plaestina, sapendo che i diritti di un popolo non possono essere incompatibili con quelli di un altro: siamo orgogliose di avere con noi, qui in assemblea, questi e molti altri eroi della società civile": parole di Mary Kaldor, inglese, e Sonia Licht, jugoslava, co-presidenti della "Helsinki Citizens' Assembly", che si riunisce per la seconda volta , dopo il meeting costitutivo di Praga nell'ottobre 1990.
Bratislava, capitale di una Slovacchia inquieta e vogliosa di separazione dalla Boemia e Moravia, accoglie i circa 600 partecipanti a questo incontro pan-europeo che si riunisce dal 26 al 29 marzo 1992, con un misto di simpatia e diffidenza. Non viene all'inaugurazione il presidente cecoslovacco Vaclav Havel, uno degli ideatori di questa ""assemblea dei cittadini degli stati aderenti agli accordi di helsinki", un'Europa dei cittadini e delle associazioni dei diritti civili, che fa un po' da contraltare, dal basso, al concerto diplomatico dei governi che si riuniscono nel quadro della CSCE (Conferenza per la Sicurezza e Cooperazione in Europa); forse Havel non vuole fare ombra alle autorità slovacche. Il tema di questa seconda Assemblea può suonare provocatorio a certe orecchie della rinata Europa centrale ed orientale: "I nuovi muri in Europa: risposte civiche a nazionalismo e razzismo". E se ancora 18 mesi prima, a Praga, il nazionalismo poteva essere rivendicato da certi gruppi aderenti alla HCA come elemento liberatorio e di autodeterminazione, dopo i processi di disintegrazione violenta della Jugoslavia e di certe parti dell'Unione Sovietica, questa sicurezza si è perlomeno incrinata. Ma anche alcune risposte, che vengono perlopiù da rappresentanti europei occidentali, alle nuove problematiche del razzismo e del nazionalismo suonano troppo semplificatorie: rivendicare semplicemente che siamo tutti fratelli ed uguali, e che quindi non c'è alcuna ragione di razzismo verso i migranti, o che i diritti di cittadinanza debbono essere universali, non aiuta un granché a spiegare perché tra rumeni e ungheresi, tra russi e ucraini, tra greci e macedoni, tra slovacchi e ebrei o tra immigrati di colore e tedeschi dell'est c'è tanto odio. Una faticosa discussione fa progredire il ragionamento dal puro e sloganistico "anti-razzismo gridato" alla ricerca di vie concretamente praticabili di convivenza.
Particolare attenzione ricevono, nel corso dell'assemblea di Bratislava, alcune significative esperienze che i "cittadini di Helsinki" hanno promosso per contribuire davvero ad un'Europa integrata e pacidicata, con la supremazia del diritto e della democrazia. Come per es. la "fact-finding-mission" a Zagabria, Osijek, Lubiana, Fiume e Lovran (marzo 1992), o la pubblicazione di Yugofax, strumento costante di informazione sulla situazione in Jugoslavia, o l'ormai famosa "carovana di pace" del settembre 1991 in Jugoslavia. O le iniziative di promozione del dialogo tra cechi e tedeschi, o tra la Romania e le sue minoranze, o tra i turchi e i kurdi. O la costituzione di un "Centro civico europeo per la risoluzione dei conflitti" a Subotica (Voivodina, Jugoslavia).
Insomma: la HCA si sta rivelando per certi aspetti davvero anticipatrice di alcune soluzioni ed istituzioni che gli Stati - ormai ben più dei 34 iniziali - aderenti alla CSCE stantano a mettere in piedi. La CSCE II, Conferenza di Parigi (Novembre 1990), aveva preso la decisione di istituire tre nuovi organismi:
1) un organismo di prevenzione e soluzione dei conflitti (con segreteria a Praga; riunitosi per la prima volta nel giugno del 1991, a proposito della Jugoslavia, ma rivelatosi sostanzialmente impotente);
2) un organismo per garantire elezioni libere e leali in tutta Europa (con sede a Varsavia, e che comincia a funzionare);
3) un organismo per tutelare i diritti delle etnie e delle minoranze e risolvere i conflitti che ne possono derivare (dopo la lunga conferenza degli esperti a Ginevra, nel luglio del 1991, tale istituzione è ancora ben lontana).
Vista la tendenza dei meccanismi degli Stati e delle diplomazie, la - pur sempre difficile e controversa - "Europa dei cittadini", rappresentata dalla HCA, si è rivelata capace di anticipare e quindi sperimentare alcune delle soluzioni che anche l'Europa ufficiale dovrà saper affrontare. Non è poco, di questi tempi. Forse converrà che anche in Italia intorno alla HCA si organizzi, meglio di quanto sinora sia avvenuto, un circuito di impegno e di partecipazione.

Alexander Langer
(relatore alla HCA di Bratislava sul tema "Società pluri-culturale come realtà e come progetto")
pro dialog