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Tra verde reale e verde legale

1.6.1990
Ha ragione Mauro Paissan, con le sue considerazioni sul voto verde ("il manifesto", 8 maggio 1990). In bene e in male. Si sbaglierebbe a sottovalutare o addirittura a tacere l'importanza del voto verde ("malgrado tutto"), come incredibilmente hanno fatto i servizi post-elettorali della RAI e poi molti giornali, che sembrano attendere con impazienza l'abrogazione dei verdi. In un'Italia così piena di risposte rassegnate (astensionismo, stanca riconferma del voto partitico...) o di tentazioni egoistiche (le leghe, i mini-partiti particolaristici...) la domanda di politica ecologica resta pur sempre la principale nuova richiesta di alternativa di civiltà.
Ma si sbaglierebbe ancor peggio se, come troppi verdi sembrano voler fare, ci si cullasse nella rassicurante certezza che nonostante le molte brutture dei "verdi politici" la gente continuerà a votarli ugualmente, e che alla fin fine basti conquistare - non importa come - un buon posto in una lista colorata di verde per trovarsi legittimati ad interpretare quella richiesta di alternativa. Ecco perché conviene guardare un po' meglio ed un po' più in dettaglio il risultato elettorale dei verdi, per trarne qualche utile conseguenza.
In queste elezioni - salvo poche eccezioni - si è fatto consegnare un mandato popolare quel ceto politico verde che è riuscito a vincere la corsa alla candidatura (o si è prestato alle candidature-civetta dei politici arcobaleno): per vie tutte interne, non importa se alla "federazione delle liste verdi", al gruppo dirigente "arcobaleno" o a talune aggregazioni locali detentrici di timbro e firma verde. Anche qualche candidatura messa a disposizione (ma talvolta quasi imposta) da questa o quella prestigiosa associazione ambientalista non salva l'insieme. Un certo rimescolamento e quindi un reale incontro tra nuovi settori della società civile e la proposta verde si è avuto solo in pochi casi, soprattutto in quelle Regioni ed in quei Comuni dove si sono fatte liste davvero unitarie e rinnovatrici (non compromessi tra sigle, ma liste costruite su una base reale, locale): mi sembra che in questo senso si distinguano il Sudtirolo, il Trentino, il Friuli (con la sua autonoma aggregazione regionale intorno alla "colomba di pace"), gran parte del Veneto, la Liguria, come le situazioni nelle quali il soggetto elettorale verde non è stato fabbricato nelle provette degli stati maggiori detentori dei pacchetti azionari di sigle e cordate concorrenti, ed i risultati sono stati conseguenti.
Questo sia detto senza voler misconoscere molte al tre realtà positive, soprattutto a livello comunale, e senza disperare che alcuni dei candidati (e soprattutto delle, purtroppo pochissime, candidate) eletti sulla base di un'ipoteca così fortemente partitizzata, possa no ora prendere il volo e beneficiare di una sorta di "grazia di stato" che li faccia ricercare i loro interlocutori e "mandati" al di là ed al di fuori dei gruppi ristretti che ne hanno costruito la candidatura.
Che fare, ora, per ricostruire un tessuto ed una credibilità dell'iniziativa e della rappresentanza politica verde? In una fase in cui l'apparente vittoria del modello occidentale sembra lasciare poco spazio - all'est come all'ovest, al nord come al sud - a chi non condivide il credo che al di fuori del mercato non c'è salvezza e che al di sopra del mercato non ci può essere nient'altro?

Credo che si debbano e si possano fare alcune cose semplici.

1. Restituire la parola alla gente e congelare le parole ai piccoli palazzi verdi. Interessa sapere cosa si aspettano dai verdi i cittadini impegnati nel volontariato, nell'associazionismo ambientalista, nella solidarietà con gli immigrati o col terzo mondo, nella sperimentazione ecologica, mentre interessa assai meno sapere cosa si aspettano i dirigenti di quelle associazioni o i dirigenti verdi (dai Mattioli alle Filippini, dai Rutelli ai Capanna... ai Langer, naturalmente) o gli autorevoli suggeritori dei verdi nelle redazioni dei giornali o nelle stanze dei partiti. Perché non provare ad iniziare future assemblee verdi con interventi di chi può interpretare queste domande ed aspettative?

2. Restituire iniziativa (verde) alla gente, rompendo il circolo vizioso degli ambiti politicisti dei verdi, dove contano le deleghe e le tessere. Trarre, cioè, la conseguenza del fatto che in molti casi liste del tutto estranee alle gerarchie della federazione verde o degli "arcobaleno" hanno ottenuto i migliori risultati. Perché non pensare a "tavole rotonde ecologiche", da convocare nelle città, nei circondari, nelle regioni, per verificare periodicamente il bisogno e le possibilità di iniziativa verde sul territorio, in modo tale da riattivare le energie di tanta gente che giustamente vuole restare estranea ai "partiti" verdi? Si fornirebbero così - oltretutto - anche agli eletti utili stimoli di idee e di critica. Nella Germania orientale ed in Cecoslovacchia i "forum" e le "tavole rotonde" si sono rivelati preziosi strumenti di iniziativa civile.

3. Depotenziare o congelare tutti gli strumenti impropri di potere che in questi anni hanno corrotto la limpidezza dell'impegno ecologista, dirottandolo verso preoccupazioni politiciste di basso profilo: lasciare in cassaforte i simboli (se Dio vuole, per un po' di tempo non ce ne sarà bisogno) ed il potere di fare liste ed assegnare candidature, e togliere di mezzo davvero i soldi del finanziamento pubblico ed ogni altra questione di denaro (intorno al poco denaro che lo Stato dà ai verdi, si è già sviluppato un tessuto incredibile di aspettative, controlli, trattative, assegnazioni; bisogna invece disfarsene davvero, e dire poi a tutti che è inutile chiedere soldi ai verdi perché non ne hanno).

4. Riconoscere un forte ruolo ed una forte autonomia agli eletti nei Comuni, nelle Province, nelle Regioni, in Parlamento, pretendendo che si assumano una responsabilità diretta davanti ai cittadini che li hanno eletti e che quindi potenzino gli strumenti di informazione e comunicazione, saltando la mediazione partitica. Chi cerca i verdi nelle istituzioni, dovrà rivolgersi ai gruppi consiliari e parlamentari, non alle simil-segreterie-di-partito, ed i verdi nelle istituzioni dovranno "prendere ordini" soprattutto dalla gente, che si esprime nei più vari modi (non solo, ma anche attraverso le associazioni; con l'iniziativa diretta; attraverso convegni ed assemblee, ecc.), e non da riunioni di partito o organi di controllo o segreterie-ombra.

Resto convinto che la gente preferisce avere nelle istituzioni una forza verde unitaria, robusta, efficace, e che non ne può più delle diatribe incomprensibili tra verdi. Ma ogni processo di unificazione che andasse avanti con la logica del cerino acceso come finora è stato, rappresenterebbe al massimo l'unificazione tra ceti politici, con quelle orribili contrattazioni di posti e candidature che hanno sporcato le ultime elezioni.
L'unificazione principale da fare oggi è tra "verde reale" e "verde legale", non tra due o tre sigle che si reclamano depositarie della rappresentanza verde. Ecco perché bisogna tornare alla gente, e cercare lì le energie ed i contenuti per un rilancio verde.

Alex Langer
pro dialog