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Attenzione: i centri creano le periferie

1.2.1987
1) Le mozioni presentate a Finale Ligure erano comunque piuttosto infelici, perché tutti i presenti si trovarono di fronte ad un "fatto compiuto" ("Statuto di Senigallia") e ad una notevole frenesia organizzativa di molti esponenti delle Liste Verdi istituzionalizzate. Dopo un anno di scarsa capacità di lavorare insieme, di confrontarsi e di coordinarsi nei fatti (p. es. nella battaglia referendaria anti-caccia ed anti-nucleare, o in altre campagne ecologiche e/o politiche), si è fatta strada una visione riduttiva di far emergere con maggior forza dei contenuti - mi sembra illusoria. Ma è una scelta che mi sembrerebbe sbagliato contestare con il conticino delle liste aderenti o non aderenti, riducendo a numeri e percentuali la "rappresentatività" della federazione. Io trovo un po' triste questa pervicacia di credere che "i Verdi" come tali esistono quando hanno chi è formalmente legittimato a parlare a loro nome e quando hanno un "centro" capace di coordinare le "periferie" Verdi. Il pericolo è di chiudere lo spirito in una battaglia, dove non fa più paura (o speranza) a nessuno, e dove si pensa di aver finalmente codificato chi "rappresenta" i Verdi e chi no. Non può esistere un organo deputato a circoscrivere, a rassicurare, a delimitare: le stesse liste verdi possono agire solo da "luogotenenti" (letteralmente: tenere un luogo, quello istituzionale) dei movimenti e dell'opinione ecologista. E non trovo utili dei processi dove diventa essenziale decidere cosa alcuni devono o non devono dire e fare: in questo senso l'enfasi investita nella federazione e nello statuto (che conterrebbe miracoli di teoria e prassi politica!) mi sembra fuori luogo. Detto questo trovo utile che esistano strutture di coordinamento e di servizio all'azione comune dei Verdi, che possano anche contare su un certo riconoscimento e sulla sinergia organizzata delle Liste Verdi e di altri settori del movimento verde. Chissà, forse questa federazione sperimentale è davvero biodegradabile... penso che debba essere aiutata in questo senso, non combattuta frontalmente e così magari compatta su posizioni deteriori.

2) Non è' l'abito che fa il monaco, né l'esistenza di una struttura o di uno statuto - di per sé - a fare il partito. Semmai è l'idea di delimitare e formalizzare un certo settore di opinione, investirlo della titolarità ufficiale della rappresentanza verde nella politica, illudersi che la sua "base" siano i cosiddetti militanti delle liste: magari le persone che hanno più tempo ed energie da spendere in un circuito verde organizzato, cosa importante ed assi meritoria, ma da non confondere con l'imprendibile base sociale e di opinione dell'ecologismo nella società che si può di volta in volta aggregare solo con iniziative e campagne, non intorno ad una rappresentanza da legittimare o addirittura da "controllare". Non sono le persone che vanno alle assemblee che possono definire il profilo delle liste verdi a partire da se stesse; ma neanche le liste potrebbero funzionare senza alcune persone attivamente identificate, magari per un certo periodo, e su certi temi. Bisognerà inventare di fronte alle eventuali scadenze elettorali ogni volta una scommessa aperta che interpelli e responsabilizzi in qualche modo la società, non la base militante delleliste, per capire se bisogna presentarsi alle elezioni e come.

3) Penso che un gruppo di coordinamento abbia senso come struttura di servizio, come una sorta di agenzia in favore dell'attività delle liste - anche come contributo attivo al confronto, all'azione comune, all'elaborazione di temi comuni di iniziativa e di campagna - non certo come organo che produce una linea politica da trasferire dal centro alla periferia. Vedrei bene un gruppo piccolo, fortemente propositivo, legittimato non tanto da criteri di rappresentanza territoriale quanto da una buona capacità di raccordo con i verdi organizzati e sparsi. Un gruppo di iniziativa e di proposta più che di rappresentanza (pur senza negare l'utilità anche di un riferimento comune di rappresentanza, per le liste). E poi dipende di volta in volta dai compiti da svolgere: nei momenti di campagna nazionale su qualcosa, è ovvio che un riferimento che non in tempi ordinari, e magari si costituisce sul quell'obiettivo e per quel periodo.

4) Ho già detto che penso che tale decisione debba essere in qualche maniera demandata all'opinione pubblica ecologista: p. es. facendo un'autorevole proposta pubblicata in quel senso ed aprire una campagna per verificare se c'è un ampio e qualificato consenso intorno, ed in caso contrario rinunciare. Io credo che oggi esista nella società italiana il "bisogno di una Lista Verde", ma troverei deleterio se invece trionfasse il bisogno di autoproiezione delle Liste Verdi ufficialmente esistenti. Mi sembra buono l'esempio dei radicali che hanno rovesciato su tutti gli altri il dilemma se continuare ad esistere come partito radicale o meno...Decidere, in caso di partecipazione elettorale, come fare le Liste, è - per esperienza - sempre un compito piuttosto rognoso: credo che potrebbe essere risolto meglio da un gruppo di "saggi", ampiamente riconosciuti ed essi stessi magari non candidati, che potrebbero svolgere funzioni di sondaggio e reclutamento e dovrebbero poi presentare una loro proposta insindacabile. Sempre alla luce del sole: dicendo cioè pubblicamente che non si è scelta alcuna procedura formalmente democratica (elezione dei candidati in assemblee o associazioni) per privilegiare una sorta di democrazia sostanziale. La federazione ufficiale potrebbe dichiararsi fin dall'inizio disposta a rispettare una simile procedura ed a mettere a disposizione simbolo, timbri e bolli. Altrimenti bisognerebbe inventare elezioni "primarie", in un ampia area verde.

5) Secondo me è stata posta abbastanza male la questione, a Finale. Piuttosto che una garanzia strappata dalle donne di avere almeno metà dei posti, vedrei bene una rinuncia dei maschi - almeno in una certa fase transitoria, per stabilire condizioni di minore disparità, e come desiderio di avvalersi di un apporto troppo spesso emarginato e svilito. Non credo molto nei sistemi delle quote (ho l'esperienza della "proporzionale etnica" nel Sudtirolo), ma sono sicuro che una forte presenza di donne nelle varie iniziative ed anche in eventuali organi rappresentativi produrrà un mutamento qualitativo augurabile. Formalizzare tutto questo in una norma forse non è utile (ma credo che le donne stesse sapranno elaborare una proposta in proposito che stupirà tutti se si svincoleranno da una logica troppo rivendicativa); meglio interiorizzare tutti il bisogno che il contributo delle donne sia realmente assicurato, e non solo per far tornare i numeri. (Devo aggiungere, tuttavia, che secondo me a Finale Ligure i maschi avrebbero fatto bene ad assistersi sulla proposta, lasciando la decisione alle donne e disinnescando così un elemento brutto del dibattito e della votazione, ed i commenti all'esito del voto, abbiamo dato "a posteriori" ragione a quelle donne che volevano la quota garantita).

6) Penso che effettivamente manchi a gran parte dei vedi un approfondimento reale e profondo della nonviolenza, come più in generale penso che per ora molti verdi vivano la loro scelta più come un opzione politica che non come una "conversione" più globale e come un progredire nella conoscenza, nella comunicazione, nella pratica di vita. Una cultura del parlare, decidere e rivendicare predomina ancora su una cultura del fare, dell'esempio, della nonviolenza, della disponibilità alla rinuncia per cambiare se stessi e gli altri.
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