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L'ambiente, i movimenti, i partiti

1.11.1993, in "Il viaggiatore leggero", Sellerio
Vedo tre aspetti decisivi per radicare una efficace tutela dell'ambiente: 1) identificare nella svolta ecologica una primaria urgenza del nostro tempo e volerla effettivamente compiere (un problema di consapevolezza pubblica e di volontà civica), 2) identificare le possibili opzioni pratiche per farvi fronte e scegliere tra esse (un problema di competenza e di coerenza ambientalista); 3) tradurre in decisioni pubbliche - legislative, amministrative, economiche, fiscali, ecc. - e comportamenti collettivi efficaci questa scelta e verificarne l'attuazione, battendo le resistenze ed incoraggiando scelte ed azioni conseguenziali (un problema di volontà e di capacità politica).

Se si esamina il ruolo e l'incidenza rispettivamente dei movimenti civili e delle forze politiche più specificamente ambientaliste, conviene tener presente l'intera gamma di questi aspetti: si scoprirà che la funzione e l'efficacia di movimenti e forze politiche non è uguale, rispetto ad ognuno di essi, e non è neanche sempre la medesima, nel corso del tempo. C'è stata, nel decennio dai primi anni '80 ai primi anni '90, una significativa inter-azione tra "verdi di movimento" e "verdi politici" (talvolta anche una larghissima identificazione): la scelta dei verdi di "buttarsi in politica" è stata sollecitata e condivisa da gran parte del movimento e delle associazioni, anche se poi non sono mancate le delusioni; la diffusione di una coscienza pubblica più attenta al fattore ecologico è stata causata in non piccola misura da questa presenza politica (che ha dato nuovo vigore e nuova credibilità pubblica ai movimenti). La ricerca di opzioni adeguate all'urgenza ambientale mi sembra avvenga invece più nei movimenti che nelle file dei verdi "politici", e la traduzione operativa li vede impegnati entrambi. Cerchiamo di capire meglio nel dettaglio.

Oserei dire che in Italia "la politica" è stata il moltiplicatore decisivo della presa di coscienza ecologista durante gli anni '80. Curiosamente l'opinione pubblica italiana non è diventata ambientalista sulla spinta del disastro di Seveso (che invece ha convinto la Comunità europea a darsi una "direttiva Seveso" sul rischio ambientale industriale!), ma piuttosto perchè ad un certo punto la tematica verde ha avuto una sua rappresentanza politica. Solo da quando il fattore verde è diventato un elemento di concorrenza politica ed elettorale, l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica ha cominciato a cogliere l'urgenza di una svolta ambientale. I primi assessorati all'ambiente (alla vibilità urbana, ecc.) e lo stesso Ministero per l'ambiente sono stati istituiti dopo che il consenso elettorale (in verità abbastanza modesto: 2-5%, ma nel sistema politico italiano comunque significativo) dei primi verdi ha conferito, per così dire, dignità pubblica e peso politico alla tematica ecologica. La stessa attrattività dell'associazionismo ambientalista è assai aumentata dopo che, grazie alla presenza dei verdi come soggetto politico, il fattore ambiente è entrato potentemente in gioco ed è persino diventato "di moda". Una nuova consapevolezza si è fatta strada in diversi campi: p.es. un diffuso disagio verso la cementificazione ed il proliferare di strade ed autostrade, una vigilanza più critica contro la dissipazione energetica e l'abuso di fonti non rinnovabili, un'esigenza più rigorosa verso la genuinità e qualità ecologica degli alimenti, del vestiario, dei materiali di costruzione, ecc.; qualche (ancora piuttosto embrionale) presa di coscienza rispetto all'abuso di medicinali ed alla grandissima quantità di sostanze chimiche di sintesi (con un significativo mutamento di opinione generale p.es. sulla plastica), una più larga comprensione verso gli animali, un allarme sociale su fenomeni come le piogge acide, l'effetto serra, il buco nell'ozono, la sopravvivenza delle foreste tropicali, ecc. L'inquinamento delle acque, del suolo e dell'atmosfera, il degrado ambientale e paesaggistico, persino il diffuso eccesso di rumorosità e forse soprattutto una critica generalizzata al dilagare della motorizzazione ed dei fenomeni conseguenti si sono imposte largamente. Alcune grandi campagne nazionali hanno polarizzato l'attenzione generale grazie all'azione politica dei verdi: p.es. quella che - dopo la catastrofe atomica di Cernobyl - ha portato alla promozione, prima, ed alla vittoria, poi, del referendum anti-nucleare; quella sulla caccia e sui pesticidi (dove, pur nell'insuccesso dei referendum a causa del mancato raggiungimento del "quorum", una opinione pubblica maggioritaria è diventata chiaramente visibile), o la tematica dei parchi e della protezione del territorio.

In sintesi: stimolata dalla presenza di un modesto, ma vivace e spesso agile "braccio secolare" dell'ambientalismo in politica, nella seconda metà degli anni '80 in Italia si è compiuta - meglio: ricuperata - una maturazione di opinione assai significativa. Gli italiani sono diventati sensibili e talvolta persino esigenti in fatto di ambiente, seguendo su questa strada altri europei che lo erano già stati prima di loro. Mi sembra quindi che sul primo punto (la presa di coscienza) la presenza dei verdi in politica abbia avuto un effetto innovatore e moltiplicatore che i movimenti come tali non erano stati in grado di ottenere. Si sa che i movimenti ecologisti erano il vero humus nel quale i "verdi politici" si erano sviluppati, ma curiosamente - per come è fatta l'Italia, o almeno per come era sino alla fine degli anni '80 - l'azione politica dei verdi ha a sua volta notevolmente spianato la strada ai movimenti, conferendo alle loro tematiche un rilievo ed un'autorevolezza che non avevano avuto prima di essere stati toccati da questa sorta di "bacchetta magica" che era la politica.

Anche nell'individuare opzioni possibili di risanamento ecologico i verdi "politici" hanno avuto, a mio giudizio, qualche significativa influenza, ma in quel campo il primato spetta decisamente ai movimenti. Un approfondito e largo dibattito sulle alternative energetiche, su come ridurre l'incidenza estremamente nociva dei trasporti eccessivi, su come risanare un'agricoltura diventata assai chemio-dipendente, su come disinquinare l'acqua, l'aria e la terra, su come affrontare la drammatica emergenza-rifiuti, ecc. si svolge oggi senz'altro in larga misura sui binari impostati dall'associazionismo ecologico, dagli eco-istituti e gli altri centri di ricerca ed elaborazione ambientalista. Ma anche in quel caso il volano politico si mostra rilevante: la discussione sulle targhe alterne o sulla chiusura di impianti a rischio come la Farmoplant di Massa o l'Acna di Cengio, sull'espulsione delle petroliere dalla laguna veneta e sull'imposizione di vincoli naturalistici e paesaggistici (istituzione di parchi, ecc.), il dibattito sul trasporto su strada o su rotaia diventa in ogni caso un fattore di maturazione ecologica e democratica irrinunciabile. Forse si può dire che l'elaborazione ambientalista, cresciuta all'interno dei movimenti, attraverso la sua esplicitazione sotto forma di alternative praticabili (magari con sacrificio, nel breve periodo, ma con vantaggio nel lungo periodo) e quindi di scelte politiche da compiere, diventa un elemento decisivo di impegno civile, non per i soli addetti ai lavori. I verdi "politici" hanno il merito - dove sanno fare il loro mestiere - di obbligare l'opinione pubblica e le amministrazioni ad affrontare finalmente queste tematiche e le scelte conseguenti (a volte assai ardue, come p.es. nel settore dei rifiuti o della viabilità urbana).

Sotto il terzo profilo, quello della traduzione di decisioni ambientalmente favorevole in leggi, provvedimenti, politiche, bilanci di spesa e così via, di nuovo si distinguono e si completano - quando va bene! - l'azione dei movimenti e dei "politici" ambientalisti. E forse su questo piano, paradossalmente, i movimenti riescono ad essere più efficaci, almeno fintantoché i verdi non sono al governo, ma spesso anche quando e dove lo sono. Si dà infatti la situazione che anche i verdi, una volta imboccata la via della competizione e della rappresentanza politico-istituzionale, finiscono per sottostare a certe "leggi della politica istituzionale": dalla propensione ai conflitti personalistici e di potere, alla tentazione dello "scambio politico" o, più prosaicamente, della necessità di raggiungere dei compromessi con altre forze politiche e, qualche volta, anche con certi vincoli derivanti dal desiderio di guadagnare e mantenere consensi elettorali, e quindi di evitare di essere troppo impopolari (chiedendo, per esempio, forti aumenti del prezzo della benzina o di altre risorse energetiche).

Nella fase in cui i verdi politici erano di norma al di fuori dei governi e delle amministrazioni, l'azione dei movimenti è stata probabilmente più incisiva, rispetto alle decisioni politico-amministrative, dei verdi politici: per una giunta che vede i verdi all'opposizione è più facile concedere qualcosa alle associazioni ed ai movimenti, che non agli avversari politici. Ma i verdi politici spesso hanno avuto il merito di imporre dei temi all'agenda politica, di suggerire e sostenere nuovi esperti, di introdurre nuovi criteri: una sorta di "valutazione di impatto ambientale" applicata sempre più spesso (ma in misura ancora largamente insufficiente) alle politiche municipali, regionali o nazionali. E - non dimentichiamocelo - hanno saputo essere degli importanti cani da guardia che denunciavano quella larga parte di corruzione che è connessa proprio al danno ambientale: dai "mondiali di calcio 1990" ai diversi scandali di discariche ed esportazione di rifiuti, dalle tangenti sulle grandi opere pubbliche (che sempre infliggono grave danno ambientale per meschine ragioni di vantaggio privato) a quelle sugli impianti energetici.

La fase che vede, invece, i verdi sempre più spesso come parte di coalizioni che dispongono anche di potere esecutivo, è ancora troppo breve ed episodica per consentire un giudizio articolato, ma sicuramente si può dire finora (guardando anche alle esperienze di alcune amministrazioni delle quali i verdi erano parte) che in quei casi l'azione congiunta dei verdi politici e dei movimenti diventa ancor più decisiva: da un lato, perchè solo la spinta dei movimenti può aiutare i verdi politici a non appiattirsi alle logiche di coalizione e del "male minore"; dall'altro, perchè è normalmente dal tessuto associativo che vengono di norma le preziose risorse umane, di esperienza, di sapere, di impegno che mettono a disposizioni di amministrazioni ben disposte il necessario "know how" verde.

E' possibile che un nuovo sistema elettorale, basato su criteri maggioritari o addirittura uninominale, metta i verdi ben presto di fronte ad una nuova situazione istituzionale, in cui la traduzione politico-amministrative delle istanze ecologiche non potrà più essere affidata ad un "partito" o una "lista" verde, ma dovrà articolarsi diversamente: con un ricorso assai più ampio al "lobbying", cioè alla pressione esercitata, in nome degli interessi ambientali, verso i decisori politici, e con il sostegno offerto a candidate/i che - pur non essendo esplicitamente "verdi" - offrano qualche garanzia di sensibilità e coerenza ambientalista. Salvo, ovviamente, poter avere anche singoli esponenti verdi, sufficientemente prestigiosi, come candidate/i eleggibili anche nel contesto di un sistema maggioritaria (magari a doppio turno).

La strutturazione che sinora i verdi si sono dati in Italia, dovrebbe essere - a mio giudizio - nonostante qualche brutta incrostazione burocratica o carrieristica, sufficientemente "leggera" da adattarsi bene a tale eventuale trasformazione. In tal caso il ruolo dei movimenti tornerebbe ad essere di gran lunga prevalente, e anch'essi dovrebbero ripensare, come i verdi politici, la loro funzione ed azione.

Risposta scritta a Luca Carpen, che gli chiedeva se "la tutela dell'ambiente in Italia è assicurata più dai movimenti o dai partiti politici", novembre 93
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