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Relazione introduttiva alla prima assemblea nazionale dei Verdi italiani

8.12.1984, Firenze, inedito
Ringrazio la presidenza ed i promotori di questa assemblea per avermi voluto affidare questa relazione introduttiva che svolgerò senza alcuna pretesa di rappresentatività (che semmai dovrebbe risultare dal dibattito successivo) e senza aspirare ad alcun ruolo dirigente.

Non parlo quindi "a nome" di qualcuno, nemmeno della lista alternativa per l'altro Sudtirolo di cui faccio parte. Vorrei piuttosto sollevare temi ed interrogativi su cui confrontarsi. Mi è stato affidato inoltre un saluto da parte dei Grünen tedeschi, che oggi sono riuniti ad Amburgo per il loro congresso federale.

Si parla già molto di una forza politica che in Italia non c'è ancora o quasi. Intendo "i verdi", gli ecologisti politici, ma anche i pacifisti, gli alternativi, le formazioni "arcobaleno" o come diversamente possono essere chiamati.
I mezzi d'informazione da qualche tempo si sono buttati su questo temo, creando a loro modo (ed a loro uso, spesso) personaggi, riferimenti, immagini.
L'"arcipelago verde" - che nella realtà sociale italiana per ora è piuttosto debole, variegato e poco strutturato - viene considerato da molti un potenziale protagonista di campagne politiche, anche elettorali: per esempio in occasione delle elezioni regionali e comunali che si svolgeranno nella primavera del 1985. Lo stesso presidente del Consiglio Craxi lo ha elevato alla dignità di "interlocutore temuto", additando nei nuovi movimenti ecologisti e pacifisti un terreno di coltura, magari involontario, o comunque un rifugio per provocatori e terroristi.
Ma forse l'uscita di Craxi è stata anche un auto-goal: si registra oggi intorno all'ecologismo, intorno all'ecologia politica, intorno alla sintesi tra ecologismo e pacifismo un'attenzione straordinaria da parte di molta gente e dei mezzi d'informazione. E sarà compito nostro saperne tener conto responsabilmente e ricordarci - nel corso dei nostri lavori di oggi e di domani - che molte attese e speranze rivolgono ai "verdi".
Una parte di queste attenzioni è dovuta al riflesso delle elezioni europee del giugno 1984. In quell'occasione i "verdi" in molti stati europei si sono dimostrati una forza politica emergente ed assai significativa: con un 8 % di voti in Germania federale ed in Belgio e percentuali di tutto rispetto (dal 4 al 6%) in Olanda, in Francia, in Lussemburgo. Anche in altri paesi europei, non sempre della CEE (Svezia, Austria, Finlandia), formazioni "verdi" hanno registrato in varie occasioni interessanti affermazioni sul piano locale o anche nazionale, ed in molti altri paesi ancora (Giappone compreso) si formano liste o partiti "verdi".
Nel piccolo Voralberg austriaco, poche settimane fa, i "verdi" (dopo una significativa confluenza tra verdi alternativi e conservatori) hanno raggiunto, di primo acchito, il 13% dei voti.
In Italia la prima "lista verde" (esplicitamente cosí denominata) è entrata nel Consiglio regionale e provinciale di Trento nel novembre 1983, con un c. 3% dei voti; la "lista alternativa per l'altro Sudtirolo" ha raccolto in provincia di Bolzano, nella medesima occasione, il 4,5 % di voti (8% nel capoluogo); liste "verdi" o affini sono rappresentate in alcuni consigli comunali di diverse regioni: ad es. ad ancona, Viadana, Monza, Grado, Avetrana, Viterbo, Monfalcone e qualche altro; coordinamenti "verdi" o iniziative in quella direzione, esistono o si stanno sviluppando in diverse situazioni. Questo convegno potrà fornire una radiografia aggiornata ed insieme determinare un passo avanti.
Tuttavia non si può parlare per ora di una crescita o avanzata impetuosa del movimento "verde" nella sua forma politica e rappresentativa, in Italia. Forse una presenza elettorale in occasione del rinnovo del Parlamento europeo, nel giugno 1984 avrebbe consentito di svolgere un'ampia campagna di opinione sui temi "verdi", con un forte riferimento alla dimensione Europa. Ma una proposta di discussione in questo senso (avanzata da me e da Gianni Squitieri dell'ARCI) è stata lasciata cadere nella generale indifferenza. In effetti ci sarebbero volute molte forzature per formare liste "verdi", ed in ogni caso si sarebbe dovuto fare affidamento più sul prestigio di singole personalità e sul richiamo dei temi proposti che non sulle realtà organizzate ed operanti nel paese. D'altra parte la scadenza europea avrebbe permesso proprio di accentuare il carattere di critica e progetto che contraddistingue il percorso verde oggi, consentendo di attivare ed aggregare persone e gruppi, senza necessità di fare i conti con il potere locale e centrale (stabilità di giunte, alleanze, ecc.).
E'chiaro che non essendosi presentata alcuna lista "verde" alle elezioni europee, il potenziale spazio politico è stato coperto da altre presenze (radicali, comunisti, demoproletari, forse repubblicani e liberali, singoli candidati socialisti, ecc.) o da astensioni; e siccome ogni affermazione elettorale ovviamente rafforza i partiti "vincenti" e la loro pretesa di rappresentanza, è da ritenere che dopo il 17 giugno 1984 una proposta "verde" dovrà - se entrasse nell'agone elettorale - misurarsi con una maggiore ostinazione di alcune forze politiche (PCI, DP, PSI, forse PR) e con l'"effetto sorpasso": a qualcuno, forse a molti, potrebbe dispiacere intaccare quel capitale di voti "rossi" in nome di prospettive ancora incerte.
Sin qui ho parlato dei "verdi" come virtuale o attuale forza politica in Italia. Prima di ritornare su questa prospettiva, bisogna fare un passo indietro.
I "verdi", infatti, che in altri paesi - ed in primo luogo in Germania federale, dove hanno non solo la loro più alta percentuale elettorale, ma soprattutto il più profondo radicamento sociale e ideale - sono approdati anche alla scelta di "buttarsi in politica", ma non sono in primo luogo e quasi naturalmente una componente dell'arco politico rappresentativo.
Molto di più una proposta "verde" rispecchia un mutamento di giudizio sulla civiltà tecnologica, industriale, espansiva nel suo insieme, ed una scelta contro il modello di sviluppo - universalmente dominante nel mondo industrializzato o in via di industrializzazione - basato sulla crescita quantitativa del prodotto, del mercato, del reddito, del dominio, del controllo sociale, degli armamenti, dello sfruttamento delle risorse, della mercificazione e burocratizzazione di ogni settore della vita, in tutte le latitudini della terra e persino oltre la terra.
L'allarme per il bosco che muore, i deserti che avanzano, i mari che si atrofizzano, il territorio che si degrada, le risorse energetiche che si sprecano e si sostituiscono con energie incontrollabili, i cibi adulterati, le metropoli invivibili e particolarmente ostili a vecchi, bambini, agli handicappati, le specie animali o vegetali che devastano ambienti sociali e naturali un tempo equilibrati, l'agricoltura trasformata in campo di applicazione pesante della chimica, la stessa possibilitá di manipolazione genetica... . Tutto questo, messo insieme all'allarme per la corsa agli armamenti e la reale possibilitá di un olocausto nucleare ed alla consapevolezza che milioni di persone muoiono annualmente anche in "tempi di pace per gli effetti devastanti della normalità fisiologica del cosiddetto sviluppo (fame, malattie, urbanesimo selvaggio, rapina di materie prime, ecc.) provoca una profonda presa di coscienza. si genera da qui tanto la rivendicazione di un governo diverso e di una distruzione diversa delle ricchezze tra le classi sociali all'interno delle società sviluppate, bensì una critica ed autocritica radicale che coinvolge le stesse idee di progresso e di sviluppo.

Sicuramente al fondo della presa di coscienza "verde" sta per molti versi un "allarme", un forte bisogno di tirare il freno di emergenza (come dice Classe Effe, richiamando Water Beniamino), decelerando e possibilmente fermando un treno in corsa verso abissi non più tanto lontani. In questo senso la "cultura del limite" (che enfatizza la scarsità e la finitezza delle risorse, da un lato, e gli eccessi arrivati al limite, dall'altro) è un elemento essenziale e di spiego di una nuova consapevolezza morale e politica. A questo si coniuga un sedimento cospicuo, ma disincantato degli ideali e delle lotte degli anni '60-'70. Il bisogno di ugualitarismo, di liberazione, di parità sessuale, di comunicazione, di abbattimento di gerarchie, di giustizia sostanziale, di democrazia non solo non diminuisce sotto l'incalzare della catastrofe ecologica o nucleare, ma assume nuove forme; meno ideologiche ed assolute, magari, e più attente alle utopie concrete ed imperfette; meno totalizzanti e più reversibili (o "biodegradabili"); soprattutto meno elusive?? e decisamente più empiriche e pluraliste. nella formazione di una cultura "verde" o "alternativa" svolge un ruolo da non sottovalutare il nuovo sapere critico acquisito sull'onda dei movimenti del 1968: dalla medicina alla pedagogia, dall'architettura al diritto, dall'ingegneria al'urbanistica o alla psicologia. La critica radicale al modello di sviluppo espansivo "della crescita" genera una attenta e multiforme ricerca e sperimentazione alternativa, alla scoperta di modelli decelerati, decentrati, nonviolenza, comunicativi, anti-gerarchici, partecipativi, di produzione, consumo, convivenza, trasporti, salute, abitazione, cultura, apprendimento, educazione, organizzazione sociale e politica, applicazione della tecnologia e così via. "Self-reliance", autorealizzazione, sussistenza (non mercato), sviluppo qualitativo e multidimensionale, contatto con la natura, cooperatività (non competizione), valori d'uso (non di scambio) e duna fondamentale auto-limitazione sono alcuni tratti caratteristici di una cultura "verde" che soprattutto in Italia - è appena in via di crescita, talvolta addirittura solo in stato nascente.
Certo, vi potranno essere molteplici e consistenti elementi di ingenuità e di semplificazione (nel senso di "riduzione a volte un po' drastica di complessità esistenti") in questa ricerca di una cultura "verde e alternativa", ma il vero terreno di coltura dei "verdi" quale potenziale forza politica rappresentativa e significativa si trova proprio nella diffusione di una consapevolezza ecologica, anti-consumistica, pacifista, nonviolenta, e del bisogno di nuovi valori e comportamenti, a partire dalla critica alla civiltà dominante.
In questo senso in Italia si è ancora molto indietro, rispetto alla sviluppo di una radicata e diffusa sensibilità "verde"; ma si moltiplicano i sintomi - anche spuri (come l'uso del richiamo ecologico nella pubblicità, per esempio) che indicano una, forse rapida, inversione di tendenza. Ma il passo da una sensibilizzazione ad una prassi "verde - alternativa", dal dire al fare, è comunque ancora lungo.
In Italia, infine, il "vuoto politico" che potrebbe segnalare una "lacuna di mercato" colmabile dai "verdi" è meno evidente che altrove; basti ricordare le tuttora notevolissime percentuali di partecipazione della gente al voto e la prontezza con cui le forze politiche esistenti si annettono (e macinano) rapidamente ogni nuova esigenza sociale o culturale, il "verde" compreso.
Queste sono differenze considerevoli, rispetto all'esperienza di altri paesi, in particolare della Germania federale o della Francia.

I "verdi" come terzo polo

Paradossalmente, quinti, l'Italia quale privilegiata di un intenso sviluppo politico e di una originale e diffusa cultura della sinistra degli anni '60 e '70 appare oggi un terreno assai meno propizio alla maturazione di una forza politica ecologista ed alternativa, simile ai "verdi" di altro paesi. Cercherò di delineare alcuni presupposti che - a mio avviso - devono consolidarsi perché in Italia possa prendere corpo un'ipotesi di significativa rappresentanza politica dei "verdi"; a partire - ovviamente - da un forte slancio ideale sui temi sopra accennati. I "verdi" potranno avere spazio se esprimeranno un autentico e profondo bisogno di sopravvivenza, mentre sarebbe del tutto effimero ed inconsistente ogni tentativo di mera commercializzazione politica di una generica tematica ambientalista, né avrebbe senso affidarsi semplicemente al riflesso italiano di una tendenza europea, senza radici originali.

Probabilmente la difficoltà principale sta nel fatto che in Italia sembra scontato a molti, anche tra i "verdi" stessi, che una posizione "ecopacifista" non sia latro che il naturale prolungamento della tradizione di sinistra, e dunque sostanzialmente collocabile a fianco o all'interno della sinistra politica e del cosiddetto schieramento "progressita".
Ore, se è senz'altro vero che la battaglia per la giustizia sociale è anche un obiettivo dei "verdi" (ed in questo senso potrebbero far fronte comune con i "rossi"), non è invece per niente detto che su alcuni temi cari alla sinistra, l'area "verde-alternativa" sia d'accordo. Basti pensare all'industrialismo, al sostanziale statalismo, alla fiducia nel c.d. progresso, all'enfatizzazione dell'intervento e della gestione pubblica di ogni cosa, allo "stato sociale" ed in genere al "welfare" più o meno keynesiano, allo sviluppo come crescita, alla presa del potere.. e tante altre cose ancora che la sinistra predica e sogna, per rendersi conto che tra "verde" e "rosso" non c'è una naturale continuità ma più di una mancata rottura.
Voglio usare, in proposito , un raffronto un po'provocatorio, mutuato dalla storia del cristianesimo: il rapporto tra il "verde" ed il "rosso" potrebbe essere paragonato, da un punto di vista verde, al rapporto che i cristiani vedono tra il nuovo e l'antico testamento, tra la chiesa e la sinagoga. E non c'è da meravigliarsi che la "sinistra veterotestamentaria" guardi con diffidenza a chi vuole liberarsi dai lacci e laccioli della legge e die profeti, e c'è da augurarsi solo che i "verdi neotestamentari" che inizialmente tenderanno a muoversi come pesci nell'acqua della sinistra (della sinagoga, per restare nella metafora) riescano presto a parlare anche ai "gentili".
Ma parliamo anche della destra: è chiaro che su molti temi cari alla destra politica i verdi non potranno mai essere concordi: dal militarismo all'ordine gerarchico e repressivo, dal profitto come motore dell'economia alla valorizzazione delle diseguaglianze sociali, e mille altri temi ancora. E tuttavia é innegabile che un certo conservatorismo (quello che in Germania chiamano "Wertkonservatorismus", il conservatorismo dei valori) alligna anche tra i "verdi", con tonalitá più o meno esplicite, come pure vi alberga un forte considerazione per l'individuo e la sua peculiarità "ineguale", al diffidenza verso il "progresso", una tendenza segnatamente spiritualista, ecc.
Bisognerebbe, a mio giudizio, che i "verdi" - anche in Italia -riuscissero a sfuggire alla polarizzazione un po'consunta tra destra e sinistra, che oggi - nonostante il "sorpasso" comunista e malgrado l'azione complessivamente spesso riformatrice di parecchie giunte "rosse" o simili, rispetto al passato centrista o di centro-sinistra - ha esaurito molto della sua dialettica innovatrice e trasformatrice di un tempo.
I "verdi" dovranno piuttosto costituire un altro polo, su un'altra sponda; un po'come i pacifisti indipendenti sono riusciti a fare rispetto alla logica dei blocchi tra est ed ovest.
Ciò non significa né indifferenza alle sorti della sinistra o alla possibilità di garantire alle nostre città, ai consumi, alle regioni forme di governo più democratico e più sensibile alle istanze sociali e popolari, né intende equidistanza tra destra e sinistra, quasi che i "verdi" volessero autoproporsi come nuovo centro tra le ali dello schieramento politico. Vuol dire soltanto che non possiamo più accettare il perenne ricatto del "male minore" che le forze più a sinistra costituiscono rispetto a quelle più a destra, ed accontentarci in nome di questo ricatto di quel che passa il convento, e con la prioritaria necessità di salvare comunque il potere "rosso" dai ritorni indietro. E sapendo che eventuali rappresentanze verdi potranno in qualche caso essere decisive per formare una maggioranza piuttosto che un'altra, sarà bene mettere sempre in chiaro quali obiettivi si intendono raggiungere prioritariamente: i verdi potrebbero in certo casi obbligare le giunte a fare o non fare determinate cose da vedere se non possa valere la pena, in certi casi.
Credo che persino le inevitabile polarizzazione tra governo ed opposizione non dovrebbe assorbire o condizionare per intero una forza "verde" che - almeno nel breve periodo di per sé non sarà destinata a formare le giunte e governi, ma neanche a combatterli sempre, in tutto, per partito preso.
Insomma: vorremo sfuggire, finalmente, a quella paralizzante logica di fondo che caratterizza il sistema politico italiano e che è la logica di schieramento: il "con chi stai" per troppo tempo ha prevalso e continua a prevalere sul "cosa vuoi ottenere", "cosa proponi", "quale cambiamento vuoi realizzare", ed i verdi dovranno uscire da questa camicia di forza, e forse sapranno addirittura strapparla, perché anche altri ne possano uscire.
In sintesi i "verdi" dovranno costituirsi come "terzo polo", come "altro" rispetto alla canalizzazione corrente della dialettica politica italiana. Non sarà facile, ma è condizione essenziale per sfuggire al destino di essere forza di complemento di uno degli schieramenti cristallizzati e spesso sterili; e per essere un forte e credibile "terzo polo" i "verdi" hanno bisogno di sviluppare una lungimirante e complessa progettualità. E'pensabile infatti, che l'ecologismo politico rappresenti una potenzialità paragonabile - nella sua complessità e per la sua virtuale portata storica ed ideale, nei prossimi decenni - a quella che aveva il marxismo negli ultimi cento anni. Questa potenzialità in gran parte è ancora da sviluppare, e non può essere ridotta ad una versione riveduta o corretta del marxismo o anche, per esempio, del liberalismo.

Un'altra novità "verde" che dovrà distinguere l'esperienza culturale e politica di quest'area consiste nel reale valore attributo all'autonomia ed al decentramento delle esperienze, iniziative, idee, progetti, elaborazioni. Tutto il contrario del modello tradizionale di organizzazione politica, caratterizzata da coerenza e centralizzazione. Il policentrismo (o, forse, l'assenza di un vero e proprio centro dei temi ideali e delle strutture operative renderà più creativi, ma sicuramente anche "meno affidabili" i "verdi", in un'ottica politica tradizionale. Ma si tratta di una vera e propria "conditio sine qua non", sopratutto in un realtà così politicizzata come quella italiana che tende ad avocare alle mediazioni centrali ogni processo politico anche periferico, finendo per colonizzare e paralizzare tutto.
Che una forma politica "verde" non potrà essere strutturata in partito, con militanti e tessere, con organismi legittimanti a decidere al posto della "base", con una chiara delimitazione tra chi ne fa parte e chi no, con processi decisionali formalizzati e vincolanti. Tutto ciò non dipende tanto o solo da una volontà di rinnovamento, ma anche dalla relativa inafferrabilità del movimento eco pacifista, oscillante di continuo tra latenza ed attivazione, tra impegno diretto ed ampia delega alla rappresentanza, tra omenti di mobilitazione e presenza puramente di opinione.
Ragione per cui un referendum cittadino, un sit-in, l'organizzazione di una Università verde, la pulizia collettiva delle rive di un fiume, il blocco del traffico in nome della visibilità delle città, l'obiezione fiscale alle spese militari, le denunce penali contro gli inquinato e distruttori del paesaggio e tantissime altre forme di azione diretta possono aggregare ed impegnare centinaia e migliaia di persone su un obiettivo comune, senza per questo trasformarsi in attività di un partito, in sedimento organizzato di strutture e sezioni, in tessere o riunioni periodiche - e non ce ne deve dispiacere.
Sarebbe la fine dei verdi, ancora prima della loro vera e propria nascita ed affermazione politica, se contenuti e metodi venissero macinati dai meccanismi dell'attuale mercato politico.
Solo una più ampia diffusione di nuove forme di intervento e di mobilitazione civile potrà costituire (come la Bürgerinitiativen in germania) un fertile terreno di maturazione anche di rappresentanze "verdi" - senza per questo restringersi sul terreno necessariamente e perennemente minoritario dell'azione diretta e rinunciare ad una ricerca di egemonia (proprio in senso gramsciano) di opinione, su certe tematiche.

E' dunque possibile e forse persino probabile - ma non certo scontato - che anche in Italia i "verdi" costituiranno un riferimento politico, cui qualcuno (Enrico Finni, per esempio) attribuisce addirittura un'area di consenso potenziale intorno al 12-13%.
Ma stiamo attenti a non lasciarci illudere, né illudere altri, da queste cifre, il cui potenziale sedimento elettorale è stimabile forse intorno ad un 3%. Conosciamo - mai abbastanza, è vero - il perverso funzionamento dei meccanismi di disinformazione e stravolgimento che condizionano le scelte dei cittadini e che spesso addirittura impediscono che id scelte si possa parlare. Conosciamo anche, e da vicino, i tanti modi in cui per gelosie, incapacità, concorrenzialità, linguaggio poco accessibile, minoritario, logica parrocchiale, improvvisazione - e last not least, mancanza di mezzi i nostri messaggi e le nostre tematiche si appannano o comunque non arrivano ai cittadini. Partecipare alle elezioni non è un obbligo e neanche un gioco, ed ha senso soltanto se può essere utile ad una causa che, ritengo, è così grande da poter essere forse definita la causa del secolo - del secolo XXI, per la precisione.
La strada è dunque ancora piuttosto lunga ed accidentata, ed è possibile che gli errori propri e le ostilità altrui contribuiscano a renderla assai più lunga ed assai più accidentata.
Tra gli errori propri più probabile si possono indicare il minoritarismo, l'elettoralismo ad ogni costo, l'approssimazione culturale e politica, l'eccessivo uso di personale e strutture riciclate da precedenti esperienze (ma il riciclaggio fa parte della lotta contro gli sprechi!), la litigiosità caratteristica dei rapporti inter-associativi ed inter-gruppi e - soprattutto - la riduzione di una grande e fondamentale "conversione" (svolta, "metanoia") culturale e piccolo cabotaggio politico in cerca di qualche seggio.
Non lasciamocene dunque sedurre, ma non dimentichiamo neanche che i primi passi di un movimento saranno necessariamente limitati ed a volte incerti.
Non saranno, comunque, le separate conferme elettorali (attese talvolta con un certo messianismo dal quale bisogna guarire) e conferire o negare dignità politica e culturale al discorso eco-pacifista.
Ma non si deve nemmeno sottovalutare la pressione politica esercitata - anche verso i partiti ed al loro interno, verso l'opinione pubblica, verso le amministrazioni - da una attiva ed autonoma presenza verde, capace di minacciare in modo credibile (e temibile!) di erodere consensi in nome di obiettivi ambientali, pacifisti, inerenti alla qualità della vita. Più robusta sarà l'autonomia progettuale e programmatica dei verdi e più conquisteranno una immagine pubblica in tal senso, meno paura dovranno avere di essere strumentalizzati da qualcuno per fini estranei, e potranno anzi sperare di moltiplicare la propria efficacia grazie all'apporto sinergico di altre forze.
Ma come si sta, dunque, oggi, rispetto agli atteggiamenti altrui?
Si è già detto del pericolo, assai, italiano, che i diversi partiti si dotino in fretta (ed in parte l'hanno già fatto) di foglie di fico ecologiche ed alternative. In un certo senso già nelle elezioni europee numerosi partiti si sono proclamati "verdi" o parzialmente "verdi": i radicali (rivendicando primogenitura e coerenza di scelte in esclusiva, e non senza qualche ragione, almeno a confronto con altri concorrenti); i demoproletari ("la sinistra verde"), gli stessi comunisti con annesso PDUP (che hanno eletto Luciana Castellina e candidato e purtroppo non eletto personaggi come Enrico Testa, presidente della "lega ambiente" ARCI, o Vera Squarcialupi, deputata uscente piuttosto attenti ad alcuni temi "verdi"), i repubblicani (cui la parte riesce poco bene), i socialisti (con Baget Bozzo), ed altri ancora.
Rispetto all'eventualità della presentazione delle liste "verdi" gli atteggiamenti sono - comprensibilmente - piuttosto negativo, per ragioni di autoconservazione e concorrenza partitica, Solo i radicali propugnano (e vorrebbero sponsorizzare) liste "verdi" nelle elezioni amministrative, terreno tradizionalmente poco favorevole al loro impegno diretto.
A questo proposito il recente trentesimo congresso radicale ha sancito una linea di apertura e disponibilità che ritengo assai interessante, come lo erano le proposte da tempo avanzate da Marco Pannella.
Gli altri, ed in particolare l'intramontabile "Democrazia proletaria", vorrebbero che il "verde" si esprimesse all'interno della complessità della loro scelta ed organizzazione politica; il PCI sembra oscillare tra l'apertura a formazioni "verdi" che vorrebbero si rapportassero ad esso quasi come nel passato aveva fatto il PDUP e tra il tentativo di prevenire la formazione, appropriandosi con sufficiente energia di alcuni temi verdi.
Ma voglio ricordare che proprio Pietro Ingrao in una recente intervista a "nuova ecologia" ha affermato:
"non bisogna cullarsi nell'illusione di poter assorbire e dissolvere dentro di sé questi nuovi movimenti, o di far propri solo alcuni brandelli dei valori in cui crede la parte sostanziale e davvero nuova dell'ecologismo. E ancora: occorre non affrontare la questione in modo settoriale, magari confinata in un "pezzo" del programma. No: si tratta di confrontarsi, e di fare delle scelte.
Sicuramente un'autonoma formazione "verde" costerebbe - in termini di voti - qualcosa ad ognuno di questi partiti, ma ne riceverebbe anche da latri parti (purchè non fosse una lista minoritaria e settaria), e dovrebbe - secondo me - porsi questo obiettivo molto esplicitamente.
Si può, infatti, essere certi - anche in base all'esperienza di altri paesi - che una critica verde spesso può fare breccia in zone geografiche ed aree sociali tradizionalmente "bianche" assai più di quanto non sia riuscita una forza "rossa", ipotecata da troppi sospetti fondati ed infondati; ed è questo un importante obiettivo di trasformazione ideale e politica: i verdi hanno un forte bisogno dell'apporto di entusiasmo, di idee, di freschezza e di voglia di fare che tanti cittadini cosiddetti impolitici sentono di poter dare.
Siamo dunque - ed in particolare con questo convegno - alle soglie di un processo di costruzione decentrata, ma convergente, di una forza ideale, culturale e politica del futuro. Una forza che non si può "fondare" (come qualche improvvisatore ha tentato e qualcun altro tenterà ancora di fare) con tanto di atto notarile e di tessere pre-stampate, ma che ormai attraversa molte aree di pensiero e di impegno, organizzate e non.
In particolare le diverse associazioni ecologiste e le persone impegnate in esse dovranno confrontarsi con questa tendenza, pur senza abdicare ai loro compiti specifici e senza trasformarsi in "supporters" elettorali o organizzazioni collaterali. Mi piace ricordare che l'associazione del cui Consiglio nazionale anch'io faccio parte (la "lega per l'ambiente" ARCI) abbia affrontato con coraggio ed apertura questa prospettiva; gli "amici della terra" da tempo si sono pronunciati in questa direzione, e così più recentemente anche altre associazioni di dimensione nazionale (come p. es. la "lega anti-caccia") o più locale. Grande apertura si può riscontrare anche tra le file di "pro Natura", ed - in misura crescente - anche nel WWF, mentre nelle file di "Italia nostra" sembrano prevalere riserve e perplessità.
Un notevole numero di esponenti ecologisti e pacifisti di aree e proveenienze diverse hanno recentemente firmato un appello (di cui anch'io sono firmatario, come parecchi altri dei presenti qui), in cui giudicano positiva la presentazione elettorale dei "verdi", a certe condizioni, e si impegnano a fornire la loro opera chiarificatrice, di elaborazione, di sostegno, di "garanzia morale", se così si può dire.
Liste già esistenti e comitati promotori di liste verdi - quali coloro che hanno promosso il presente convegno - già operano in molte situazioni locali e tendono a voler accelerare il processo verso sbocchi elettorali.
Dobbiamo sapere che un a presentazione elettorale nelle consultazioni amministrative può rischiare di immiserire, in molti casi, la globalità e la radicalità della critica e dell'alternativa "verde", salvo in quei casi dove qualche conflitto in atto e ben presente alla generalità della popolazione consente di misurarsi con una questione cruciale ed avviare, da lì, una più generale presenza di coscienza.
Forse bisogna davvero rispettare i ritmi naturali di semina e di crescita, senza fertilizzanti artificiali, e senza fare il passo più lungo della gamba.
Proprio per queste ragioni - ed ho concluso - ritengo che l'incontro di oggi debba mettere bene in chiaro che l'ecologismo politico in Italia non è riducibile alle eventuali liste verdi, ma ne può ricevere consistenti e positivi impulsi; che le liste verdi - se e dove ci saranno - si impegnano ad anteporre le ragioni ideali e di movimento a piccoli interessi elettorali, ben sapendo che dalla loro condotta dipenderà - in questa fase di incubazione - molto delle futuro dei "verdi" in Italia; che in ogni caso va salvaguardata e potenziata la cooperazione dei tanti nelle battaglie verdi, a prescindere dai possibili diversi giudizi sulle scelte elettorali; che un programma verde è ancora tutto da costituire in un processo lungo ed articolato, e che le liste che si presenteranno dovranno caratterizzarsi per obiettivi chiari, delimitati, comprensibili, importanti, senza scimmiottare le generiche liste della spesa dei partiti; e che - infine - i "verdi" in Italia, per crescere, hanno bisogno di molti amici: da questa assemblea, mi auguro, devono partire segnali non di primogenitura o di esclusivismo, ma di ricerca e di offerta di amicizia, di solidarietà, di cooperazione.

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