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Qualcuno ci chiamerà perfino traditori

1.12.1964, Bz1958 - Il viaggiatore leggero - traduzione
Cari studenti tedeschi, sono veramente lieto che Bi-Zeta possa ospitare anche articoli scritti in lingua tedesca. Si tratta di una conquista per la quale molti qui in Sudtirolo si sono battutti per anni, ma che non è mai stata raggiunta prima. I nostri colleghi italiani, che hanno avuto il coraggio di seguire sino in fondo la decisione presa meritano dunque ancor più tutta la nostra stima.

In questo articolo sarà analizzato un fenomeno che purtroppo spesso ci impedisce di entrare in contatto con il gruppo linguistico italiano, o che comunque in qualche modo ci riempie di diffidenza. Abbiamo paura della cosiddetta 'snazionalizzazione' (Entnationalisierung). Dico 'cosiddetta' perché si tratta di un'espressione che non mi piace, senza voler assolutamente negare il fatto in sé. Ancora oggi portiamo i segni di ciò che il fascismo ha significato per la nostra terra. E forse è proprio perché questa paura continuiamo a sentirla fin nelle ossa, che ancora oggi spesso ci rifiutiamo di avvicinarci agli italiani. Penso che si tratti di uno dei fallimenti più grandi che dobbiamo attribuire a noi stessi e del quale dobbiamo, se siamo onesti, sentirci colpevoli. Molti italiani si sono sforzati e hanno cercato di stringere amicizia con noi, ma la maggior parte non ha trovato che rifiuto e ostilità.
Naturalmente dobbiamo chiederci se un tale atteggiamento sia giustificato da parte nostra, se vi siano validi motivi - a parte quelli storici già citati - che lo impongono. Penso di poter dire che effettivamente tentativi simili sono già stati fatti, ma sicuramente non da parte di coloro che oggi tentano di avviare con noi un dialogo franco e aperto. Perché ci conosciamo così poco? Perché ci rifiutiamo sempre di partecipare a iniziative e manifestazioni comuni oppure di mandare un nostro rappresentante? Perché ci ritiriamo immediatamente nella nostra piccola tana? Penso che se abbiamo tanta paura di una "snazionalizzazione", allora significa che non ci sentiamo sicuri.
Se conosciamo troppo poco la nostra cultura oppure non padroneggiamo completamente la nostra madrelingua, allora certo la probabilità di cedere al primo contatto con qualcosa di estraneo è molto alta. Ma in questo caso è colpa nostra! Se invece abbiamo sufficiente dimestichezza con il nostro retroterra culturale e spirituale (Geisteswelt), se lo sappiamo comprendere, allora il contatto con gli italiani, soprattutto con gli studenti, non solo non ci danneggerà, ma sarà un'esperienza preziosa. Impareremo a conoscerci meglio, ci arricchiremo a vicenda (l'ho spertimentato io stesso), comprenderemo meglio il carattere dell'altro e lo aiutermo a vedere il nostro mondo nel modo giusto, a capirlo, e soprattutto contribuiremo a regalare alla nostra terra una maggiore comunicazione.
Oggi viviamo in uno stato democratico, e quindi abbiamo la possibilità di difendere i nostri diritti e un'alta probabilità di riuscire, prima o poi, anche ad imporli. Con ciò non voglio affatto sostenere che lo stato abbia assolto a tutti i suoi doveri nei nostri confronti, la strada da compiere è ancora lunga. Tuttavia anche noi da parte nostra non dovremmo essere solo cittadini leali, ma fornire il nostro contributo attivo al superamento dei problemi del Sudtirolo. Possiamo risolvere il problema della convivenza di due diversi gruppi linguistici solo se lo conosciamo a fondo. Se conosciamo a fondo entrambi i gruppi linguistici, e non solo il nostro! Per questo motivo non dobbiamo esitare ad incrementare i contatti con i nostri colleghi italiani e a favorire uno scambio di idee (per quanto diverse possano essere). L'isolamento e il rifiuto del dialogo non possono che nuocerci, in tutti i sensi.
Perché in tal modo ci sottrarremmo ad un dovere umano, vorrei dire cristiano, relegheremmo noi stessi nel ruolo di interlocoturi chiusi, inflessibili e testardi, decretando così la nostra immaturità ad entrare in un rapporto equilibrato e paritario con il gruppo italiano.
Penso dunque che sia giunto il momento di iniziare, subito. Per prima cosa dobbiamo smantellare la diffidenza reciproca che tanto ci divide e che avvelena ogni nostro incontro. Poi però dobbiamo anche far cadere i nostri cari pregiudizi, che ci impediscono di farci un'idea chiara e obiettiva della situazione. Infine dobbiamo impegnarci con tanta buona volontà e molto coraggio a fornire il nostro contributo perché si crei in Sudtirolo una società nuova; dobbiamo persino avere il coraggio di accettare di essere chiamati "traditori". Chi usa tale appellativo probabilmente non si è mai sforzato di raggiungere una vera convivenza. Ci serve, infine, tantissimo idealismo. L'idealismo della gioventù.

da BiZeta 58, dicembre 1964
(traduzione di Donatella Trevisan)

Questo testo è stato pubblicato in lingua tedesca a fianco del precedente in lingua italiana (cari studenti italiani: noi giovani dobbiamo essere bilingui), su di un periodico studentesco che per la prima volta aveva deciso di ospitare scritti in entrambe le lingue.
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