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I meriti di Berlusconi

9.8.1994, per "Cuore". Non pubblicato.- Il viaggiatore leggero
Un merito almeno dovremo riconoscerlo a Berlusconi: il suo successo ha fatto capire che la maggioranza della gente non ama (più?) riconoscersi nei lamenti "ah, quanto si sta male...", "oddio, cosa ci tocca sopportare...", "peggio di me non sta nessuno..."

e così via piagnucolando ed incazzandosi, ma preferisce idee come "posso farcela", "sono senz'altro in grado di competere", "ho avuto fortuna e me ne vanto". Un duro colpo per tutte le culture politiche basate sul lamento e la recriminazione, l'invidia e un falso pauperismo, ed una spinta per il "fai da te" o almeno il "provaci ancora". Rischiano di restarne ferite a morte non solo tutte quelle sinistre che tradizionalmente aspettano dalla caduta tendenziale del saggio di profitto o dall'immiserimento progressivo alfine la riscossa rivoluzionaria, ma anche quella nuova cultura politica "verde" che in misura non piccola ha accreditato dell'ecologia una concezione fortemente catastrofista: non l'ineluttabile crollo del capitalismo, ma gli assai più ineluttabili effetto-serra o desertificazione o inquinamento e degrado porteranno all'inversione di rotta ed al riscatto salvifico. Berlusconi invece ha fatto venire allo scoperto una maggioranza che non ne può più di catastrofi avvenute o annunciate, e che vuole - malgrado non esprima una forte e profonda carica di senso, di motivazione, di speranza - almeno un'iniezione di ottimismo per andare avanti.

Rese grazie al merito, non ancora abbastanza acquisito da chi cerca un'alternativa al berlusconismo, occorre però lanciare un allarme, basato proprio su quegli stessi elementi. Silvio Berlusconi in persona, fin dal suo discorso di investitura in Parlamento, ha detto chiaramente che dell'effetto serra ci si potrà preoccupare tra circa duemila anni ("forse il nostro pianeta comincerà ad intiepidirsi in un lasso di tempo pari a qello che ci divide dalla morte di Caio Giulio Cesare") - lasciando intendere che intanto è meglio pensare a come produrre e consumare automobili, palazzi, strade, plastica, computers e quant'altro può tirare una ripresa della crescita, chiamata ormai universalmente "sviluppo".

Non sarà la paura delle catastrofi ecologiche a mobilitare un'alternativa ascetica e pauperistica che sarebbe comunque assai minoritaria. Piuttosto si vorrebbe intravvedere un possibile "vivere meglio", anche con le sue rinunce e compensazioni. Ma ciò diventerà assai più arduo se intanto si realizzasse un programma sistematico di guasti non rimediabili in tempi ragionevolmente brevi (decenni, secoli e millenni; in epoche più lunghe forse le cose si rimettono a posto...) che all'insegna di un vacuo ottimismo produttivistico oggi comincia ad affacciarsi.

C'è spazio tra Savonarola e Berlusconi - purché si attivino le energie e risorse che si situano tra il catastrofismo lamentoso ed il sorriso prestampato e rassicurante del direttore dell'orchestrina della Titanic.

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