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Adriano sofri: un minuto di silenzio

Jul 11, 2010, la repubblica 11 luglio

Le tragedie vogliono guadagnarsi un’aura di destino, e se ne fabbricano coincidenze impensabili. Così, il quindicesimo anniversario cade nella domenica della finale di calcio mondiale. Avevano chiesto, le associazioni delle vittime, di dedicare un minuto di silenzio a Srebrenica, nella finale. A Sarajevo avevano trepidato all’idea che potesse arrivarci la Serbia. Non è successo, ma un diavolo ci ha messo la coda, perché alla finale è arrivata l’Olanda, gran paese, eccellente squadra, ma furono olandesi i militari delle Nazioni Unite che a Srebrenica 1995 brindarono con Mladic, furono traditi dai capi dell’Onu e della Nato, e tradirono un popolo inerme che si era affidato loro. La Fifa, per bocca del suo segretario, Jerome Valcke, ha affettato comprensione, ma ha spiegato che l’11 luglio è anche il cinquantenario della prigionia di Mandela, e che del minuto di silenzio non se ne può far niente. Tanto meno dell’altra proposta, la più estremista, di lasciare sugli spalti dello stadio 8.346 posti vuoti, in memoria. Immagino già che cosa stiate pensando: “è troppo”. L’ho pensato anch’io, naturalmente. 8.346 posti vuoti in una finale mondiale di calcio sono troppi. L’abbiamo pensato anche leggendo la cifra dei trucidati di Srebrenica, che 8.346 erano troppi: ma con minor trasporto, no?

Le famiglie delle vittime avevano avuto ragione di preoccuparsi per la coincidenza fra la loro data, dedicata dalla stessa Unione europea alla commemorazione di Srebrenica, e la finale del campionato. La gente, e gli europei in particolare, avranno altro da fare quel giorno.

In compenso andranno in tanti alla cerimonia di Srebrenica, anche il primo ministro belga uscente Leterme, presidente di turno del consiglio dell’Unione europea, reduce a sua volta insieme alla famiglia reale dal cinquantenario dell’indipendenza del Congo, a Kinshasa. C’è la famosa barzelletta sul Belgio, dove si regola pacificamente la questione della secessione: “Allora, tutti i valloni a destra, e tutti i fiamminghi a sinistra”. Restano fermi al centro alcuni signori vestiti di nero col cappello, la barba e i riccioli: “E noi belgi dove?” è esattamente quello che succede in Bosnia, dove gli accordi di Dayton divisero il paese in tre popoli costituenti, serbo, croato e bosniaco-musulmano (bosgnacco), con tre parlamenti e tre governi e tre di tutto, sicché un cittadino ebreo bosniaco, Jakob Finzi, e un cittadino rom bosniaco, Dervo Sejdic, hanno fatto ricorso alla Corte di Starsburgo chiedendo, più o meno, “E noi?” e la Corte, nel dicembre 2009, ha dato loro ragione, dichiarando invalido il voto riservato a candidature su base etnica. Le prossime elezioni saranno nell’ottobre di quest’anno, e vedremo come verranno a capo della barzelletta. Intanto, sono passati quindici anni, e si piange di più, come bisogna negli anniversari tondi, sull’undici luglio.

Srebrenica, laboratorio di genocidio di viltà e di negazionismo. Basta Srebrenica a rendere superflue montagne di volumi sul nazismo e la Shoah. I volonterosi carnefici, la gente comune? Eccoli, i tifosi belgradesi della Stella Rossa, i vicini di casa serbi: girano a centinaia per le strade di Srebrenica, “restituita” all’autorità serbo-bosniaca. La programmazione del genocidio? Proclamata, nei discorsi dei nazionalcomunisti di Milosevic e dei loro servi-padroni ubriachi, Karadzic e Mladic e compagnia. La comunità internazionale, che su Auschwitz pretendeva di “non sapere”? Ma a Srebrenica vedeva tutto, e lo trasmetteva al mondo intero, ed era solennemente sul posto, e non solo non si oppose allo sterminio, ma brindò coi macellai e aiutò coi suoi caschi blu a separare gli uomini dalle donne e i bambini, prima del mattatoio. Quanto al negazionismo, sostengono i nazionalisti di Belgrado e di Banja Luka che gli sterminati furono molto meno degli 8.346 ufficialmente designati, che gli esami del dna vengono falsati per far passare come bosniaco-musulmane le vittime serbe… Il Tribunale internazionale per la ex-Jugoslavia ha bensì pronunciato, il mese scorso, le prime condanne per il reato di genocidio, ma la notizia è passata pressoché inosservata. A Srebrenica furono massacrati i maschi, dagli adolescenti agli anziani – ma anche molti bambini e vecchi: le donne e i bambini furono cacciati via e braccati attraverso i boschi in una fuga d’incubo. Una ragazza si impiccò a un albero, e i suoi piedi scalzi dondolanti suggellarono l’iconografia del Novecento. D’altra parte la brutalità ex-jugoslava, e serbista specialmente, che a Srebrenica ricalcò l’antico rito del massacro degli uomini, aveva perfezionato anche la violenza sulle donne fino a programmare lo stupro etnico. Oggi Srebrenica è, ad onta delle sue autorità e delle sue milizie serbiste, soprattutto un posto di donne del lutto e della memoria, come ogni Troade inseminata

pubblicato in
http://pdobama.wordpress.com/2010/07/11/un-minuto-di-silenzio/ 

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