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Strasburgo 10 luglio: proiettato “SOUVENIR SREBRENICA” al Parlamento Europeo su iniziativa del Gruppo Verde-Efa. L’intervento in aula di ROBERTA BIAGIARELLI

Jul 13, 2007, www.greens-efa.eu

Buon pomeriggio a tutti, ringrazio the Greens European Free Alliance per avermi voluta qui oggi a testimonianza del Genocidio di Srebrenica, in occasione dell’anniversario che domani si celebrerà al Memoriale di Potocari con la sepoltura quest’anno di  480  corpi riesumati dalle fosse comuni ed identificati.

 

Ringrazio tutti voi qui presenti, scusandomi fin d’ora per la mia pessima pronuncia in inglese.

Prima di parlarvi  del documentario SOUVENIR SREBRENICA, che vedremo da qui a 10 minuti, mi è necessario spiegarvi le motivazioni che mi hanno portato in questi 10 anni a familiarizzare con Srebrenica.

Io in Italia sono un’artigiana del teatro e dal 1998 faccio un monologo dal titolo “ A come SREBRENICA”, un racconto che è la ricostruzione precisa dei 3 anni di assedio della città e delle cause del massacro finale, avvenuto, come voi sapete, nel luglio del 1995.

In occasione del decennale  del Genocidio  (2005) ho voluto trasformare il mio testo teatrale in un film- documentario, o meglio svilupparlo, facendo parlare le persone che a 10 anni dal massacro sono tornate a vivere in quel luogo.

La mia è un’ indagine storica, sociale, antropologica, ma soprattutto umana che perdura da oltre 10 anni verso quei luoghi, tanto è vero che io spesso non riesco più a distinguere i confini della mia appartenenza affettiva a  Srebrenica dal mio  punto di vista  professionale rispetto a quella città.

L’idea di fare un documentario su Srebrenica mi era già scattata nel 2003, finalmente, dopo molti sforzi nella primavera del 2005 sono riuscita a  costituire un gruppo di persone  che lavorasse insieme  a  me al progetto di documentario.

Nel luglio 2005 abbiamo abitato per oltre un mese in Srebrenica, raccogliendo le testimonianze dirette di molti cittadini, che per ovvi motivi di montaggio, abbiamo poi, con fatica dovuto selezionare. Abbiamo assistito alla commemorazione dell’11 luglio 2005, siamo riusciti a recuperare  materiale anche inedito da diversi archivi di Sarajevo e Belgrado oltre a delle videolettere amatoriali dall’assedio stesso di Srebrenica.

In fase di montaggio abbiamo aggiunto alcune immagini concesse da Tribunale penale internazionale dell’Aja, una parte del video girato dagli Scorpioni, concesso da Natasha Candic e alcune parti del mio racconto teatrale girato  nel luglio 2005 alla Fabbrica delle Batterie di Potocari, che fu durante l’assedio sede dei Caschi blu, prima canadesi, poi olandesi  e uno dei luoghi della più efferata pulizia etnica.

Il processo del lavoro del film è stato lungo e fatico e per me non è ancora finito, ma né è valsa la pena sia per la mia  crescita professionale, ma soprattutto per l’arricchimento umano che tutto questo ha provocato in me.

Sono oggi autorizzata a parlare per conto delle Associazioni “Madri di Srebrenica” e  “Donne di Srebrenica”, con cui sono costantemente in contatto e con alcune di loro ho parlato domenica scorsa al telefono:

Non può esserci un’ illusione di democrazia senza giustizia.

Eventi come quelli di Srebrenica non nascono per caso.

L’orrore di Srebrenica non è solo nella morte , ma nel fatto che la gente vi si era rifugiata per sopravvivere, e aveva avuto dall’Europa, da noi,  la garanzia di sopravvivere.

Quella guerra è stata un grande imbroglio perché nulla cambiasse e ognuno potesse continuare a fare in territorio Jugoslavo e non solo, i propri affari.

A 12 anni dalla fine della guerra, in Bosnia ci sono ancora 1.000.000 di profughi. Ci sono problemi socio-economici gravissimi, sulla soglia di casa nostra. E poi c’è la difficile gestione del passato, dei crimini di guerra. I Balcani siamo noi e ci riguardano, rifugiarci nella rimozione della memoria, non servirà, perché quei problemi torneranno a bussarci alla porta di casa , stanno già tornando…

Parlare oggi di un processo di riconciliazione in quei luoghi è cosa molto ambiziosa, occorre prima passare dalla strada più lunga e faticosa dell’elaborazione del conflitto per provare a ricostruire una memoria condivisa. Prima di arrivare a parlare di uno Stato-Nazione ci sono 1000 problemi più urgenti da superare.

Spero che gli Stati che compongono oggi l’Europa comincino a mettere a fuoco  e a ragionare  alla situazione dei Balkani Occidentali liberandosi dagli stereotipi e dalle categorie etniche.

Di fatto i patti di Dayton hanno creato  e sancito una situazione ingovernabile in quelle zone.

Voi che potete, se potete, fate qualcosa a seconda delle vostre competenze, ma  fate azioni concrete.

Le donne di Srebrenica, le persone che lì abitano, sono stanche e demotivate dall’immobilismo che permea la città.

Chiedono a gran voce azioni concrete.

Fare memoria  non significa solo ricordare e rendere onore alle vittime, ai morti, ma soprattutto significa agire, prendersi cura dei vivi, di quelli che restano.

Questo è anche il senso più profondo del mio lavoro.

Lavorare con chi è rimasto per aiutarli a rielaborare ciò che è accaduto, a fare i conti con il passato per poter guardare al futuro.

Nel documentario vedrete le testimonianze dei mussulmani e dei serbi che vivono in Srebrenica e che sono esattamente sovrapponibili.

Ognuno porta la sua verità: quella di cittadini ingannati, il grande imbroglio del potere economico che fa la guerra e la dirige.

Non potremo mai dirci Europa se resterà questo buco nero dei Balcani Occidentali all’interno della geografia europea, di cui la Bosnia ne è il cuore pulsante, la pancia, il luogo che era esempio di tolleranza e di miscuglio di popoli e religioni.

 

Chiudo prendendo a prestito le parole di una mia amica bosniaca che oggi vive e lavora a Roma, Elvira Mujcic ha 27 anni, è di Srebrenica, da lì scappò  con sua madre Nadja, sua nonna e 2 fratellini il 16 aprile 1992, suo padre e altri membri maschi della sua famiglia risultano ad oggi tra i  dispersi, in una lettera lei dice:

“ Tra poco sarà l’11 luglio, qualcuno si ricorderà dell’Anniversario. Gli ‘osservatori’ se ne ricordano sempre e solo il giorno dell’anniversario , il giorno in cui i nostri morti possono essere una notizia. Gli altri giorni non lo sono. Tutti gli altri giorni i morti restano a   noi.…

L’11 luglio è il giorno del dolore collettivo , il giorno in cui le immagini di qualche telegiornale mostrano tanti volti radunati insieme a seppellire ossa trovate nel corso dell’anno. Il dolore individuale è tutti gli altri giorni, a telecamere spente.”

Ecco io vorrei che questo passaggio dal dolore individuale al collettivo possa realizzarsi nel tempo,  per condividere il dolore e renderlo, se possibile, più leggero.

Con Elvira Mujcic e uno staff di altre persone io  tornerò a Srebrenica dal 27 agosto al 1 settembre 2007 per l’iniziativa International Cooperation for Memory organizzata dalla Fondazione Langer di Bolzano e Associazione Tuzlanska Amica di Tuzla all’interno di un progetto più ampio denominato “ADOPT SREBRENICA”.

Sarà una settimana dedicata al dialogo interculturale e alla promozione di una cultura di pace e convivenza, alla creazione di una  memoria storica condivisibile, aperta alla partecipazione di persone e di istituzioni rappresentative, a studiosi, ricercatori, giornalisti, artisti, studenti, nella prospettiva di poter creare in Srebrenica un Centro internazionale di ricerca per l’analisi, la prevenzione e la gestione dei conflitti.

Adottare significa in concreto : tenere  per sempre con se.

Significa fermarsi, pensare realmente alle  esigenze della popolazione locale, che sono:

fare giustizia, ritornare ad essere vicini di casa, avere un lavoro e denaro per  comprare cibo e altro, oltre alla possibilità, superata l’emergenza che persiste ancora oggi, di nutrire il proprio spirito.

Io da parte mia darò avvio ad un progetto di ricerca dal titolo “ Il tempo della Festa” l’obbiettivo sarà quello di raccogliere la memoria orale delle feste, non solo religiose,  che si condividevano prima del conflitto, con l’obbiettivo di farne sia una pubblicazione che  uno spettacolo teatrale.

Il mio mestiere è quello di raccontare storie attraverso  i  luoghi e conoscendo le persone che li abitano, il teatro è uno strumento

antico e  semplice, ma oggi in Italia sempre più difficile da fare, acuto, che mi permette di scandagliare mondi apparentemente distanti, il mio dovere di cittadina europea è quello di restituire dignità alle persone straordinarie che ho avuto la fortuna di incontrare in questi 10 anni di lavoro e di mettermi a servizio  per dare  voce alle vittime.

I Balcani sono per noi un’ occasione, una chiave di accesso al  vicino Oriente, per non permettere agli estremismi di mettere le ali in situazioni di fragilità e instabilità politica.

Non so perché i monumenti del dopoguerra ovunque nel mondo sono dedicati ai maschi.

I maschi sono quelli che fanno le guerre, sono i guerrieri che svuotano le case, che lasciano macerie.

Le donne restano, riempiono le case come un paguro che entra nella conchiglia abbandonata  e cercano di ricostruire la vita, ridanno senso ai luoghi , ne determinano la continuità, sono le garanti e le sentinelle della vita e della  memoria, ma soprattutto nel caso dei Balcani, a sbronza nazionalistica finita, le donne ci ricordano che c’è dell’altro , che l’identità non sta nella stirpe , ma nei profumi, nei colori, nei suoni di un luogo, nella dolce appartenenza alla musica di una lingua, alle acque, agli alberi, alle pietre dei ponti. E che siamo inevitabilmente condannati gli uni agli altri.

Iniziativa di Angelika Beer, Monica Frassoni, Sepp Kusstatscher del Gruppo Verde al PE.

 
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